DIRITTI
“Non una di meno”: una marea per le strade di Roma
Una marea di 200.000 corpi ha invaso ieri Roma contro la violenza sulle donne. Una manifestazione nata dal basso che continua oggi il suo percorso nei tavoli tematici e l’assemblea plenaria alla facoltà di Psicologia a la Sapienza.
• La diretta multimediale della manifestazione
Il 25 novembre, la giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne spesso è una data solo simbolica, rituale, un significante vuoto cavalcato dalle figure istituzionali di turno, per denunciare genericamente i mali della violenza e sancire il vittimismo e l’impotenza femminile. Il 26 novembre, in prossimità di quella data, la città di Roma si è trasformata, una marea umana ha invaso le vie del centro, 200000 persone da tutta Italia e non solo hanno voluto portare in piazza i loro corpi. Nessun rituale, nessun minuto di silenzio, voci, cori, cartelli, striscioni, manchettes, adesivi al grido di: Non una di meno!
Pullman da tantissime città da Milano a Cosenza, molti dei quali fermati prima di giungere in piazza e poi ripartiti, mentre il concentramento da Piazza Esedra era già oceanico. Un corteo festoso che ha visto la partecipazione soprattutto di donne: volti e corpi di un paese che non vogliono più restare immobili mentre la violenza del neoliberismo, delle politiche di austerity seminano morte. Dall’Argentina, al Messico, alla Polonia, un movimento transnazionale delle donne ha dato vita a scioperi, proteste, assemblee oceaniche per ribellarsi alla violenza del patriarcato che innerva la società, e per ribadire a gran voce la propria autodeterminazione. #NiUnaMenos è la suggestione giunta dall’Argentina, dopo l’ennesimo efferato femminicidio di Lucia Perez. Lingue, pratiche politiche, simboli che si contaminano e viaggiano. La solidarietà va oltre ogni confine.
Il corteo ha attraversato le vie del centro di Roma toccando alcuni luoghi simbolici. Alle 13.30 inizia il concentramento studentesco di universitari e studenti medi che in queste settimane hanno animato le grigie mura di edifici che cadono a pezzi con lezioni riconvertite in diversi ambiti accademici nella “settimana sui generis”, trattando tematiche su salute riproduttiva, studi di genere e molto altro. Alle ore 15.00 il corteo inizia a partire trasformandosi ben presto in una marea umana. Apertura di sole donne. Tanti interventi dal camion di molte singol* e realtà eterogenee, performance teatrali e musicali e molta allegria ad accompagnare la manifestazione autorganizzata. Molti gli striscioni calati per rendere visibili a tutti i claim portati in piazza e comunicare anche visivamente con la città. Non una di meno vuol dire anche che non si possono bloccare i percorsi di fuoriuscita dalla violenza delle donne e l’apporto fondamentale delle operatrici dei cav, luoghi che vengono continuamente definanziati, smantellati e chiusi. Non una di meno vuol dire anche che non si può trascurare l’educazione alle differenze nelle scuole e che è necessario prevenire e contrastare la violenza maschile sulle donne a partire dal mondo della formazione.
A Colle Oppio uno striscione per segnalare la narrazione razzista e xenofoba mainstream che quotidianamente stigmatizza molti episodi di violenza come causati dal degrado urbano e dalla componente migrante della città. Sappiamo, invece, come molte politiche securitarie che ricadono sui corpi delle donne, prendono le mosse proprio a partire dal razzismo dilagante.
Alla gay street l’attraversamento transfemminista queer ha denunciato la gabbia dorata che avvolge e ghettizza le soggettività lgbtqi.
In seguito un toccante intervento del padre di Valentina, la giovane donna morta in un ospedale di Catania a causa di un medico obiettore di coscienza che ha preferito sacrificare la sua vita che intervenire per tempo. Un caso terribile definito semplice malasanità o errore medico. Oggi abbiamo voluto gridare che si chiama violenza ostetrica il controllo e disciplinamento del corpo della donna nel parto. Anche per questo siamo sces* in piazza il 26 novembre, per difendere il diritto di compiere scelte libere e consapevoli rispetto al proprio corpo e alla propria salute sessuale e riproduttiva, per contrastare l’ingerenza della morale cattolica e per pretendere una sanità laica che garantisca il diritto delle donne alla propria autodeterminazione. E vicino a Piazza San Giovanni uno striscione per denunciare i tagli indiscriminati alla sanità pubblica, che producono morte contro chi non può accedere alle cure di una sanità sempre più costosa e privatizzata. “La violenza ha molte facce, smascheriamole tutte” – uno degli slogan ricorrenti della giornata – e come non pensare anche alla disparità salariale, un abisso, tra uomini e donne. Di più, la femminilizzazione del lavoro ha esteso la precarietà ovunque, rendendola uno status per le nuove generazioni, con il beneplacito del partito governativo e il Jobs Act.
La manifestazione, dopo essere passati in vari luoghi simbolici per segnalare tutte quelle forme di violenza trasversali che quotidianamente subiamo, si è conclusa in una gremita piazza San Giovanni. Interventi, musica hanno continuato ad animare le/i migliaia di persone sotto le stelle di Roma.
In Italia il percorso Non una di meno è nato dal confronto tra diverse realtà femminili e femministe di tutte le età, che da mesi stanno ragionando in merito ad alcune macro aree – il piano legislativo, i centri anti-violenza e i percorsi di autonomia, l’educazione alle differenze, la libertà di scelta e l’IVG. Le realtà promotrici della manifestazione sono state: la rete Io Decido, D.i.Re e UDI. La rete cittadina romana Io Decido è una rete cittadina aperta, allargata, che negli ultimi tre anni si è mobilitata nelle strade, nei territori, negli ospedali, nelle università e in molti altri luoghi, cercando di strappare piccole conquiste e spazi potenziali di lotta e rivendicazione comuni sul tema della salute, diritto universale per tutt*, contro la violenza di genere e molto altro. D.i.Re – Donne In Rete contro la violenza – è la prima e unica rete italiana a carattere nazionale di 77 Centri Antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne. UDI – Unione donne in Italia – nasce come “Unione Donne Italiane” dalla esperienza femminile della Resistenza tra il 1944 e il 1945 con molte articolazioni territoriali che è tra le principali protagoniste delle lotte per la conquista di diritti fondamentali per le donne quali il diritto al voto, all’istruzione, al lavoro, ai servizi sociali.
L’assemblea nazionale a Roma dello scorso 8 ottobre è stata un primo momento per incontrarsi, tra centri antiviolenza, associazioni, sportelli antiviolenza, spazi di donne, spazi sociali, collettivi, laboratori d’inchiesta, singole. Un’altra tappa fondamentale sono però i tavoli tematici previsti per oggi dalle ore 10.00 presso l’Università la Sapienza nella Facoltà di Psicologia, il cui scopo sarà quello di cercare di articolare la proposta di un Piano Femminista dal basso contro la violenza maschile e una grande mobilitazione che affermi e allarghi l’autodeterminazione femminile. Gli otto tavoli definiti nel corso dell’assemblea dell’8 ottobre sono: la narrazione della violenza attraverso i media, come immaginarne un ribaltamento; educazione alle differenze, all’affettività e alla sessualità: la formazione come strumento di prevenzione e contrasto alla violenza di genere; diritto alla salute, libertà di scelta, autodeterminazione in ambito sessuale e riproduttivo; piano legislativo e giuridico; percorsi di fuoriuscita dalla violenza e processi di autonomia; femminismo migrante; lavoro e accesso al welfare; sessismo nei movimenti. Dalle ore 14:30 circa è prevista la plenaria conclusiva.
Non è più possibile accettare che la violenza condannata a parole venga tollerata nei fatti. La violenza sulle donne è un fatto politico che non nasce e finisce solo all’interno delle mura domestiche. Il femminicidio è solo l’estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. E’ una fenomenologia strutturale e come tale va affrontata. Le politiche di austerity, le riforme sul mercato del lavoro, i tagli al mondo della formazione, alla sanità pubblica, ai cav, in continuità con quanto accaduto negli ultimi dieci anni, non fanno altro che ledere i percorsi di autonomia delle donne e approfondire le discriminazioni sociali, culturali e sessuali. Il 26 novembre una marea desiderante ha deciso di prendere voce, tutto questo non può essere ignorato. Generazioni di donne (ma non solo) a confronto, il 27 si profila una giornata importante per dare continuità e corpo alle migliaia di voci di ieri. Il 25 novembre dall’Argentina è nata la suggestione dello sciopero delle donne l’8 marzo, sicuramente la marea transnazionale continuerà a esondare.
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