MONDO

Non è destino

Ad un giorno dall’esplosione nella miniera di Soma continua a crescere drammaticamente il numero delle vittime e le strade della Turchia tornano a riempirsi di gas per reprimere chi è nuovamente sceso in piazza a chiedere conto al Governo di quanto accaduto.

Non c’è retorica anti Erdogan in questa protesta, come non c’entrano “il destino dei minatori e la volontà di Dio” ( parole di autorità del Governo e dello stesso Erdogan) in questa tragedia: c’entra un paese in cui di lavoro si muore, sempre e tanto, e in questo caso, delle responsabilità precise.

La miniera di Soma, un mondo sotterraneo della profondità di 2000 metri nella parte nord occidentale del paese, venne visitata circa 10 mesi fa dal Ministro dell Energia Taner Yildiz, che ne lodo’ le misure di sicurezza e la qualità delle tecnologie “ made in Turkey”, mentre da molti più mesi i sindacati di categoria e i lavoratori stessi denunciavano il peggioramento delle condizioni di lavoro da quando la miniera era stata privatizzata. L’impianto venne acquistato da Ali Gurkan, titolare di una società vicina all’AKP, il partito della Giustizia e dello Sviluppo a cui appartiene il Premier Erdogan; nel 2012 in un intervista il nuovo proprietario si vantò di aver abbassato i costi di estrazione da 130 a 24 dollari la tonnellata di carbone producendo in proprio i trasformatori invece di importarli. Ma soprattutto appoggiandosi a subappaltatori che reclutavano lavoratori non sindacalizzati e disposti a lavorare per 45 lire turche (15 euro) al giorno. Spesso lavoratori molto giovani, il 27 % dei minatori turchi inizia a lavorare quando ha meno di 18 anni, e che in loco non hanno molte altre alternative.

Come se non bastasse, solamente due settimane fa il principale partito di opposizione, il CHP, su iniziativa di un deputato originario di Manisa, la provincia di appartenenza della cittadina di Soma, aveva presentato un interrogazione parlamentare che segnalava il verificarsi di numerosi incidenti rischiosi e sollecitava un indagine in loco per un rafforzamento delle misure di sicurezza. Il parlamento respinse l’interrogazione e fu un altro deputato di Manisa, questa volta dell’AKP, a rispondere sostenendo che le miniere Turche, a discapito di dati storici, erano molto più sicure di quelle di tanti altri paesi.

Il numero dei lavoratori intrappolati è ancora sconosciuto, decine di famiglie piangono figli e mariti, e le parole del Governo riescono ad essere più assurde dell’utilizzo dei gas e dei cannoni idranti contro la rabbia e il dolore che attraversano tutto il paese: in questo momento continuano a verificarsi scontri ad Istanbul ed Ankara e per domani ( oggi n.d.r.) è stato convocato uno sciopero generale dalle due principali confederazioni sindacali, Kesk e Disk, assieme alle camere degli architetti, degli ingegneri e dei medici.

Non si tratta di destino, ma di strage.

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