MONDO
#NiUnaMenos in Argentina piazze piene contro i femminicidi
Ad un anno dalla storica mobilitazione del 3 giugno scorso, tornano a riempirsi le piazze del paese. In centinaia di migliaia chiedono aborto legale e gratuito, occupando le strade contro femminicidi, patriarcato e violenza di genere. Un reportage dal corteo, lo speciale video di Notas e un commento di Veronica Gago.
Oltre 200 manifestazioni in tutto il paese, 150mila persone in piazza nella sola Buenos Aires, una marea che torna ad inondare le piazze argentine. L’enorme bandiera verde, colore che contraddistingue la campagna per l’aborto legale e gratuito, segue di poco la testa del corteo, in cui padri, madri, sorelle fratelli, compagni e compagne delle vittime della violenza machista portavano in piazza le foto delle vittime, di quelle 286 donne assassinate nel 2015, e le 66 di questi primi mesi del 2016. Cifre allarmanti: le statistiche parlano di un femminicidio ogni 30 ore in Argentina, come segnalano Rocio Varela e Juan Mattio nell’articolo su Notas e come emerge dall’infografia sui femminicidi nell’ultimo anno, curata da Julia Pena.
Una manifestazione emozionante, che avvolge la città di un’atmosfera di rabbia, indignazione appassionata. Una potente densità emotiva si dipsiega dal corteo, attraversa le piazze e le vie della città, si compone delle migliaia di voci e di volti di donne e ragazze (ma anche di tanti uomini). Una tensione emotiva espressa nelle performance di strada, che avanza al ritmo di tamburo e dei canti, che si alterna ai silenzi, oscilla e si compone di dolore e passione, di rabbia e di allegria.
Si denuncia l’arresto di Belen, in carcere per un aborto spontaneo, si condivide la rabbia per Gaudalupe, Micaela e Milagros (tre adolescenti assassinate pochi giorni fa in diverse città del paese). Per le strade che portano a Plaza de Mayo avanzano quelle donne simbolo di una lotta che non smette di insegnare dignità alle generazioni di oggi e di ieri, le Abuelas e las Madres de Plaza de Mayo, dietro avanzano spezzoni di donne delle villas miserias, di organizzazioni popolari e militanti, con le loro bandiere e i loro slogan. Si chiede la liberazione di Milagro Sala, detenuta politica in attesa di processo da diversi mesi e leader della Tupac Amaru. Sfilano le organizzazioni trans che ricordano l’attivista Lohana Berkins, uccisa nel mese di febbraio. Per ore continuano ad attraversare le strade migliaia di migliaia di uomini e donne che hanno smesso di accettare la violenza quotidiana del machismo e del patriarcato, propria delle nostre società capitaliste.
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Una mobilitazione che esprime una propria specificità politica che si connette con le lotte di questi ultimi mesi, le attraversa e le arricchisce, le potenzia e le trasforma, perchè la violenza di genere riguarda il lavoro, le relazioni sociali, chiama in causa le politiche di austerità implementate dal governo che con i licenziamenti, la precarizzazione, i tagli alle spese sociali colpisce in modo particolare le donne: come scrive Ita Cielo su LoboSuelto, storicamente sappiamo come la violenza di genere aumenta e si acuisce in modo particolare durante le fasi di spossessamento e crisi. “Sul mio corpo decido io”, “Ni una menos por precarizar la vida”, “Se ti maltratta non ti ama”, “Siamo qui a lottare perchè ci stanno uccidendo ogni giorno”: slogan che risuonano in consonanza (e in concomitanza) con Rio de Janeiro, dove pochi giorni fa una ragazza è stata violentata da 33 uomini, e arrivano fino al presidio alla Magliana di Roma dopo l’assassinio di Sara.
Nella piazza che dura ore e ore si respira una grande forza, accanto alla rabbia c’è l’allegria di sapersi parte di una potenza moltitudinaria, di una manifestazione immensa in cui convivono con la denuncia i canti di lotta che coinvolgono generazioni e composizioni sociali differenti: i volti delle tante, e dei tanti, che hanno dato vita a questa manifestazione, che sono così ben raccontate per immagini in questa galleria fotografica da Notas.
Riprendiamo qui, traducendola in italiano, una breve riflessione a caldo dopo la manifestazione scritta da Veronica Gago e pubblicata su Lobo Suelto.
“Ni una menos”…”Vivas nos queremos”
Quello che abbimo vissuto ieri (il 3 giugno) è al tempo stesso una sorpresa e una constatazione. Siamo tornate ad inondare le strade, un anno dopo la prima grande mobilitazione, e il 3 giugno è diventato un appuntamento moltitudinario, nella sua differenza e nella sua ripetizione. Quest’anno si è mobilitata persino ancora più gente inondando Avenida de Mayo e mettendo in luce davanti a tutti questo percorso di lotta, dalla piazza del Congresso fino a Plaza de Mayo. Il corteo è stato aperto dai familiari delle vittime della violenza patriarcale, con cartelli, bandiere e striscioni, canti e foto che le ricordavano, facendole tornare in vita attraverso la mobilitazione, nominandole ad una ad una. In piazza sono state portante delle denunce concrete e precise: contro la polizia, il sistema giudiziario, l’indifferenza. Codificando in questo modo con un linguaggio differente ciò che la televisione racconta come crimine, vendetta passionale o mostra attraverso i soliti dettagli morbosi.
La Campagna nazionale per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito ha colorato di verde l’atmosfera del corteo, coinvolgendo non solamente i militanti, ma tanti e tante, infatti è stata fatta propria da tutti coloro i quali hanno scelto di indossare il fazzoletto verde divenuto il simbolo di questa lotta, per farsi sentire in maniera ancora più potente.
Centinaia di gruppi militanti, giovani studentesse delle scuole, attiviste delle cucine popolari, appartenenti a gruppi di teatro di quartiere, donne ex detenute, lavoratrici, madri, studentesse, e di donne in generale. “Ni una menos” diventa “Vivas nos queremos”. A volte piangendo, altre volte ridendo, ma sempre portando con se dolori vecchi e nuovi. Sono questi due gli slogan che risuonano, creando connessioni con altri canti e slogan che richiamano gli escraches contro i responsabili dei genocidi fino alle manifestazioni messicane contro i femminicidi, tornando ancora una volta a denunciare la complicità della Chiesa con la dittatura civico-militare. E abbiamo visto sui social networks come questa stessa mobilitazione sia avvenuta, contemporaneamente, in molte altre città del paese.
Che cosa rimane di questo slogan, largo e aperto alla partecipazione, da qui alla mobilitazione del prossimo anno? Un modo nuovo di nominare la violenza che esige autorganizzazione e autodifesa, una esperienza di mobilitazione di piazza che al tempo stesso continua a vivere e abitare in ognuna di noi. Abbiamo davanti, senza dubbio, una grande sfida politica.
Foto di copertina a cura del Collettivo M.A.F.I.A., traduzione del testo a cura di Alioscia Castronovo.