POTERI
Minniti alla carica
Si avvicinano le elezioni amministrative e, chissà, quelle politiche . Infuria lo scontro per le primarie Pd. Il malcontento si manifesta nelle piazze. Cosa di meglio, allora, di una bella coppia di decreti-legge su sicurezza e migranti, motivati da «straordinaria necessità e urgenza», per grattare la pancia della gente e stornare l’attenzione dai problemi reali del Paese. Minniti per questo è il ministro giusto, un prezioso reperto dell’èra di Cossiga e D’Alema, riciclato sia nel governo Gentiloni che nella sagra del Lingotto.
Un tempo la legge borghese eguale per situazioni diverse assolveva egregiamente il compito di tenere a bada le classi pericolose. Ai ricchi e ai poveri– come è noto– si faceva eguale divieto di dormire sotto i ponti. Oggi bisogna entrare più nel merito: sbattere in galera o fuori dalla vista chi scende le scalette del Lungotevere con aria sospetta, meglio ancora se non italiano. Minority report. O in caso di perpetrazione e condanna: sanzionare subito, mica aspettare la sentenza definitiva della Cassazione (cioè almeno (10-15 anni) come per i condannati per corruzione, appropriazione indebita, violazioni dei doveri d’ufficio, ecc. Specialmente se colletti bianchi. Specialmente se parlamentari. Specialmente se ministri. Specialmente se fiorentini di città o contado.
Fuor di metafora, è stato appena approvato alla Camera (facendo sparire il contentino sul codice identificativo per le forze dell’ordine) il decreto Minniti sulla sicurezza urbana, che si affianca all’altro malfamato sui rifugiati. Ovviamente con astensione del M5s, che lo giudica troppo buonista.
Cosa prevede tale decreto per salvaguardare la sicurezza “percepita” e il “decoro” cittadino? E, innanzi tutto, cosa si intende per “sicurezza urbana”? È «il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione e recupero dei siti più degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile» (art. 4).
Gentrification ed espulsione della marginalità. Si mira infatti alla «dissuasione di ogni forma di condotta illecita, comprese l’occupazione arbitraria di immobili e lo smercio di beni contraffatti o falsificati nonché la prevenzione di altri fenomeni che comunque comportino turbativa del libero utilizzo degli spazi pubblici (art. 5). Ambulanti, accattoni, rovistatori nei cassonetti, prostituzione di strada. Beninteso, in zone degne di tutela per abitanti e turisti medi.
I sindaci-sceriffi avranno un potere accresciuto di ordinanza (come se già non ne abusassero per le iniziative più stravaganti), in particolare un “mini Daspo urbano” (art. 9 e 10) per espellere per 48 ore dalle aree pregiate della città, senza nessuna possibilità di ricorso giurisdizionale, alcune categorie di indesiderabili, che solo in caso di reiterazione del reato cadranno nelle grinfie dei questori, con Daspo più lunghi (da sei mesi a due anni) ma almeno contestabili davanti a un giudice. Vale come aggravante il fatto che le infrazioni «risultino commesse da soggetto condannato, con sentenza definitiva o confermata in grado di appello, nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio». Criteri analoghi valgono per l’allontanamento da aree sensibili degli spacciatori condannati solo in appello (art. 13). Si introduce così, in barba a tutte le presunzioni di innocenza fino a condanna definitiva, una bella distinzione: per lo scippatore basta la conferma in appello, per l’inquinatore di indagini, se appartenente al Giglio magico (uno a caso), serve la Cassazione. Non entriamo nel merito delle garanzie e dei gradi di appello del nostro sistema giudiziario. Limitiamoci a osservare che detto sistema dovrebbe essere omogeneo, non più pesante per alcuni, più leggero per altri. O anche Elkann va in prigione o non si caccia il mendicante in periferia.
Quali sono queste categorie e qual è il loro stato penale? Elenchiamo. All’art. 8 ci sono prevedibilmente «lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, i fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti». Ma all’art. 9 si aggiunge: «chiunque ponga in essere condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione delle infrastrutture ferroviarie, aeroportuali ecc., in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti» (art. 9). Se sei denunciato per blocco ferroviario o stradale non puoi mettere piede, per i periodi previsti, in una stazione, aeroporto, autostrada, ecc. (oltre alle multe). Idem per «aree urbane su cui insistono musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verde pubblico» (art. 5). L’art. 11 conferma le misure agli occupanti “arbitrari” di immobili, pareggiati a ubriaconi molesti e fuori di testa.
Figure e situazioni a volte sgradevoli, per quanto penalmente irrilevanti rispetto a ben più gravi reati a forte impatto sociale, ma soprattutto in cui l’elettore medio non si identifica. Chi cazzo va a rovistare nei cassonetti? Giusto “i zingari”. Vorrei vedere se questa normativa venisse applicata ad altre componenti del “decoro”, che so, alle auto in doppia e tripla fila, ai dehors dei ristoranti o alle cacche dei cani, che pure incidono non meno sulla “vivibilità” metropolitana che il decreto vorrebbe tutelare.
Il decreto individua strutturalmente, nella migliore tradizione nazista, alcuni “tipi d’autore” piuttosto che comportamenti penalmente accertabili: senza tetto o ambulanti senza licenza, consumatori abituali o occasionali di droghe o alcolici, rovistatori di cassonetti, writer, ecc. Poveri, marginali e migranti “clandestini” (già oggetto delle amorevoli attenzione dell’altro decreto Minniti). Vi unisce i pericolosissimi occupatori di case e centri sociali e, con l’emendamento Carfagna accolto dal Governo sulla scia delle contestazioni napoletane, i manifestanti sportivi e politici, cui si applica la «flagranza di reato differita», cioè l’arresto nei giorni successivi sulla base di videoregistrazioni. Il garantismo vale solo per il ceto politico.
Insomma, un decreto-carrozzone in perfetto stile Milleproroghe, volto a gentrificare, ripulire e reprimere, alla rinfusa, figure marginali e “sovversivi”, deportando, secondo i casi, in periferia o nei paesi di origine personaggi scomodi ma non sanzionabili in via giudiziaria o addirittura autori di pratiche legittime o titolari di “diritto di fuga”. Un’iniziativa populista dall’alto per placare gli allarmismi fascio-leghisti (ma non ci riusciranno, anzi li rilanceranno) e per scoraggiare chi già sta male e non nasconde il proprio malessere. Come all’epoca della Controriforma, quando si assistevano i “poveri vergognosi”, cioè invisibili e sottomessi, e si punivamo atrocemente i vagabondi molesti, oggi si assegnano con il bilancino sussidi a piccoli settori di povertà assoluta (reddito di inclusione) e si perseguitano i poveri turbolenti o strati assimilati (i writer prima che diventino famosi, i borghesi sbandati) e naturalmente i migranti e gli antagonisti. Quanti non si accontentano di dormire sotto i ponti (bei tempi) ma pretendono di occupare case per viverci e strade per manifestare.