EUROPA
Lab! Puzzle a Barcellona: racconto di un viaggio per capire e prendere posizione
Non amiamo stati nazione, inni e bandiere, ma ci siamo messi in viaggio verso Barcellona per capire le ragioni della lotta indipendentista, per prendere posizione e immaginare nuove forme di democrazia e autogoverno.
• A proposito di Catalogna: ipotesi sconfinamento
• Cosa ha detto la sindaca di Barcellona sui fatti degli ultimi giorni
Innanzitutto una premessa necessaria: da mesi come Lab Puzzle abbiamo intrapreso un percorso fatto di assemblee e momenti di partecipazione attiva per arrivare ad essere un “bene comune urbano”. Non si tratta di una scorciatoia nella trattativa per rimandare o evitare lo sgombero, ma di un processo reale in cui stiamo investendo sogni ed energia, perché crediamo profondamente nell’idea che gli spazi, siano essi sociali, politici o materiali, sono determinati da coloro che li vivono e li attraversano, li progettano e li costruiscono.
Crediamo che possano esistere processi decisionali in cui ognuno può esprimere la propria opinione e dove la decisione presa sia l’esatta sintesi di queste differenze. Non ci rispecchiamo nella democrazia rappresentativa così com’è perché crediamo che vadano realmente rimossi gli ostacoli culturali, economici e di classe che si frappongono ad una piena partecipazione politica dei cittadini.
Riteniamo, insomma, che si possa costruire un mondo dove il popolo comanda ed il governo obbedisce (per usare la celebre formula zapatista), e che questo principio possa piantare i primi semi nel nostro laboratorio, piccolo esperimento nato in un palazzo occupato nel III Municipio di Roma così come in un luogo di lavoro, in una scuola.
Per queste ragioni abbiamo scelto di andare in Catalogna nei giorni del referendum in cui si chiedeva ai cittadini della Catalogna di pronunciarsi a favore o meno dell’indipendenza dal governo centrale della Spagna: per vedere e capire con i nostri occhi cosa stava accadendo.
Molte sono le posizioni che si sentono sull’indipendenza catalana: dall’accusa di egoismo perché più ricchi del resto della Spagna (la sola Catalogna contribuisce con il 19% del PIL), alla lettura di un forte bisogno di porsi contro lo stato post-franchista e l’autoritarismo dello Stato centrale. Da un modo per far arricchire più rapidamente gli imprenditori catalani a scapito delle regioni più povere, ad un processo che possa far riscattare i diritti dei più deboli, coniugando la rottura dello Stato nazione con più diritti sociali. Molte erano le posizioni anche nel nostro collettivo, com’è normale che sia vista la complessità storica e culturale che ha costruito l’idea indipendentista catalana.
Nella confusione collettiva che è scaturita dal dibattito referendum sì/referendum no avevamo un’unica posizione certa, condivisa non solo in questo specifico contesto: qualsiasi popolo al mondo deve avere la libertà di autodeterminarsi e nessuno si può permettere di vietare l’espressione popolare, con il voto o con altri mezzi.
Con questo spirito abbiamo sentito quegli spazi sociali, a noi affini, con cui eravamo entrati in contatto per la proiezione del nostro documentario e che sono stati ben felici di accoglierci, ospitarci ed accompagnarci nella comprensione del processo indipendentista catalano.
In questi spazi, ma soprattutto nell’assemblea di quartiere nella quale si coordinavano (nel nostro caso il quartiere di Gràcia), abbiamo ritrovato esattamente la nostra diversità di pensiero sull’idea di indipendenza: chi pensava fosse indispensabile per la costruzione di una società più giusta; chi pensava fosse completamente inutile battersi per creare nuove frontiere in un mondo dove ce ne sono troppe. Si è trovato esattamente lo stesso punto in comune: la votazione si deve fare. È per questo che a Gràcia, così come in molti altre zone della città, sono stati creati Comitati di Difesa Popolari dei quartieri e seggi elettorali. Questi gruppi giravano per le vie del quartiere facendo la spola tra i vari seggi con sirene e kit di medicazioni, pronti ad interporsi tra la polizia ed i loro vicini che con scheda elettorale alla mano andavano a votare.
La risposta dello Stato spagnolo l’abbiamo vista tutti: oltre ad offuscare siti internet, arrestare parlamentari e dichiarare illegale ed illegittima questa votazione, ha sguinzagliato squadroni della Policia Nacional e della Guardia Civil che armi in spalla hanno sequestrato centinaia di migliaia di voti passando sul corpo di 800 feriti. Per favore non chiamiamoli scontri: le persone mobilitate resistevano tutte a volto scoperto e con le mani alzate; un signore è quasi morto per infarto durante le aggressioni della polizia e un ragazzo probabilmente rimarrà paraplegico a vita, mentre un altro ha perso definitivamente un occhio.
Tutto questo mentre i Mossos d’Esquadra, famosi per la violenza verso i movimenti sociali, venivano fatti passare come “eroi catalani” a difesa della città contro le “forze di occupazione straniera”.
Di queste ore la notizia che la Corte Costituzionale ha proibito la seduta del Parlamento Catalano del prossimo lunedì in cui dovrebbe dichiarare l’indipendenza e che probabilmente il governo voterà a breve l’applicazione del terribile art.155 della costituzione spagnola: commissariare interamente la Generalitat de Catalunya, aprendo così la porta a scenari molto pericolosi.
Siamo rimasti a Barcellona fino al grande sciopero generale del martedì. Sciopero convocato dalle realtà più conflittuali del mondo sindacale spagnolo, sia indipendentiste che non. Un dato importante quello della mobilitazione sindacale, anche se non sempre (purtroppo diciamo noi) ha saputo coniugare parole d’ordine indipendentiste con quelle per la giustizia sociale, contro lo sfruttamento per i diritti di chi lavora e di chi un lavoro non ce l’ha. Perché Catalogna o Spagna, Puigdemont o Rajoy, la nostra battaglia rimane quella per un mondo femminista, ecologista e democratico. Sono ragionamenti che ci sentiamo di fare a voce alta, pur avendo partecipato ammirati a un processo che ha portato centinaia di migliaia di persone nelle piazze a gridare un chiaro BASTA YA! all’autoritarismo di Stato. Manifestazioni che si sono dispiegate (e questo per noi è importantissimo nel valutare quanto accaduto), non solo in Catalogna, ma anche nel resto della Spagna, dai Paesi Baschi a Madrid, grazie alle forze democratiche e dei movimenti. Ricordiamo poi che il referendum è stato portato a termine solo grazie all’organizzazione popolare, cittadini e cittadine appartenenti a nessun partito o organizzazione hanno nascosto le urne e le hanno portate ai seggi con la propria macchina.
Nonostante il clima di guerra creato dalla polizia quasi la metà dei cittadini residenti in Catalogna ha votato e che più di 200000 persone hanno fatto ore di coda con il rischio di essere malmenate per votare ‘No’. Una lezione di democrazia dal basso. Una lezione che arriva in un tempo in cui in Europa anche le scelte democratiche – come quella del referendum greco – vengono ignorate dalle politiche di austerità e dalla violenza del ricatto con cui alla fine è stato piegato il governo Tsipras. La stessa Europa che lancia strali contro il processo bolivariano in Venezuela.
Un’altra piccola nota sul ruolo di Ada Colau (che potete leggere qui): sebbene molti di noi siano d’accordo con la posizione presa a Saragozza da Podemos e non solo (link), ci sarebbe piaciuta vederla, la sindaca e la sua giunta, per le strade con i cittadini della sua città a difendere i seggi. Sarebbe stato un segnale importante per tante e tanti da quanto abbiamo avuto modo di ascoltare direttamente, che avrebbe rafforzato la posizione di un’amministrazione che ha suscitato grandi speranze (non solo in Spagna).
Non sappiamo come andrà a finire la vicenda dell’indipendenza della Catalogna, né siamo in grado di fare previsioni. Quello che sappiamo è che siamo tornati a casa avendo vissuto direttamente un momento importante, potendolo restituire alle nostre collettività. Abbiamo intrapreso la strada del ritorno a casa ancora con molti dubbi e domande a cui cercare una risposta, ma con la certezza che la via per una società realmente democratica e più giusta, non può che passare per il protagonismo dei territori, dalla loro capacità di fare rete, di federarsi, oltre i confini e gli stati nazioni o gli steccati delle identità culturali e linguistiche di appartenenza. Una battaglia indipendentista come quella catalana si può iscrivere in questo solco? Staremo a vedere.
Noi la nostra idea di democrazia ce l’abbiamo chiara, sappiamo che la traduzione letteraria di questa parola è potere al popolo e la mettiamo in campo tutti i giorni. Sicuramente non è perfetta, ma collettivamente la rendiamo ogni giorno più efficace ed inclusiva, sia nei nostri spazi che nelle strade.
Perché alla fine… ELS CARRERS SERAN SEMPRE NOSTRES!