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CULT
Il ritmo delle storie
Ci sintonizziamo con le sonorità del Wu Ming Contingent
Che due Wu Ming salgano sul palco a suonare con il progetto Wu Ming Contingent, come accadrà venerdì 7 febbraio nel debutto romano a Strike, stupisce fino ad un certo punto. La faccenda era già sotto gli occhi di chi voleva vedere come nelle ultime pagine di certi romanzi gialli, quando viene chiesto direttamente al lettore di mettere insieme indizi e prove per trarne le dovute conseguenze.
Dunque, vediamo: alcuni membri del collettivo suonano o hanno suonato in diverse band (è ancora in piena attività Riccardo Pedrini, che quando smette i panni di Wu Ming 5 suona la chitarra nei Nabat, band storica del punk italiano). Più volte, poi, i Wu Ming hanno dato vita a progetti collaterali in compagnia di musicisti. È il caso del reading, dal quale è nato anche il disco di Wu Ming 2 con membri dei Massimo Volume, dedicato a “Razza Partigiana”. O del progetto che ha visto insieme Wu Ming 1 e Funambolique dal quale sono nati il disco e lo spettacolo “Arzèstula” e il reading “Emilio Comici Blues”. E numerosi gruppi hanno composto musiche e canzoni ispirate alle loro storie (qui si trova un elenco più completo delle ramificazioni sonore ispirate dai Wu Ming).
D’altro canto, abbiamo raccolto indizi anche al di là delle frequentazioni sonore, fuori da sale prova e palchi. L’approccio e lo stile wuminghiano contengono rimandi profondi alle sottoculture musicali. Siamo davanti ad un gruppo di scrittori che si muove come una band, dalla quale di tanto di in tanto qualcuno di loro si stacca per portare avanti “progetti solisti” e/o jam session letterarie e artistiche con altri elementi. Per di più, i Wu Ming sono spesso “in tour” e considerano l’attività live e il rapporto con la comunità dei lettori come parte fondamentale dell’attività di scrittura. “Ormai vent’anni fa, abbiamo iniziato a scrivere insieme spinti anche dalla frequentazione delle sale prove, luoghi dove la creazione artistica collettiva è assolutamente normale – ci spiega il quartetto – ‘Se si può farlo con la musica, perché non con la letteratura?’, ci siamo chiesti prima di cominciare Q, il nostro romanzo d’esordio”.
Si tratta di andare oltre la scrittura in senso stretto?
Ci siamo sempre definiti “cantastorie”, per sottolineare che il nostro mestiere non si limita alla scrittura. Suonare su un palco è solo un modo di proseguire la narrazione attraverso un veicolo inusuale per chi è abituato a considerare Wu Ming come un collettivo di “scrittori” o “intellettuali”. In realtà, quel che facciamo con il Wu Ming Contingent è del tutto nello spirito della “dichiarazione d’intenti” che a inizio secolo e millennio aprì la vicenda artistica, espressiva e politica di Wu Ming. Ora le nostre storie personali tornano utili, perché si tratta come sempre di narrare storie con ogni mezzo necessario, e la musica è un veicolo perfetto per raggiungere nuove orecchie, per allargare il campo della comunità, per esprimere in tre minuti quello che in un libro richiederebbe forse 20-30 pagine di narrazione o di analisi. Prendi i Cure: scrivendo “Killing an arab” hanno fatto conoscere “Lo straniero” di Camus anche a gente che mai l’avrebbe incrociato nella vita. Nel nostro piccolo, ci ripromettiamo di fare qualcosa del genere.
Dite di ispirarvi a sonorità diverse, che spaziano dal krautrock dei Neu! al protopunk dei Sonics.
Il terzo ingrediente stilistico – dopo i due che citi – è il postpunk/new wave, dai Joy Division ai PIL – forse il sapore che prevale maggiormente nel nostro lavoro e che permette alla band di riproporre suoni abbandonati da tanto, troppo tempo. Non si tratta però di un recupero artificiale, ma delle radici musical-anagrafiche della band: tre membri del Wu Ming Contingent erano già attivi musicalmente nei primissimi anni Ottanta (Nabat, Tribal Noise, Loveless per citare qualche formazione). Il tutto è ovviamente rivisto, vissuto, filtrato, riproposto attraverso le esperienze dirette e gli ascolti di più di tre decenni di attività musicale..
L’obiettivo è quello di produrre quelle che chiamate “canzoni declamate”. Cosa significa?
Abbiamo cercato e stiamo ancora cercando una formula che ci permetta di connettere il più possibile il testo letterario alla musica, un modus che dia più spazio narrativo alle parole, vogliamo evitare l’effetto complessivo da brano “rock” classicamente definito, ma senza abbandonare la “forma canzone”. Per semplificare, ci sono brani più legati al classico reading poetico – alla Gil Scott Heron o Patti Smith – a fianco di pezzi più vicini ai Diaframma o CCCP.
“Everybody has a story to tell”, diceva spesso Joe Strummer esprimendo la relazione tra l’arte di raccontare storie e quella di metterle in musica. Solo per citare un caso, da poche settimane è uscito in Italia “Una casa di terra”, il romanzo dimenticato del folksinger Woody Guthrie che esprime una profonda continuità di stile, ritmo e direi quasi di sonorità, tra le poetiche del trovatore da combattimento della Grande Crisi e la funzione sociale (nel caso di Guthrie quasi didattica) della letteratura. Domanda delle cento pistole: che relazione c’è tra il dover battere il tempo giusto delle parole e della musica e la tensione verso il giusto ritmo di un racconto scritto?
La relazione è strettissima. Il ritmo è ritmo, che si tratti del ticchettio di un orologio, di una drum machine o del flusso della parola poetica o dei tempi comici di un attore. La nostra musica è narrativa, e la nostra produzione letteraria allude sempre al cogliere il tempo giusto: “Seize The Time”, dicevano le Pantere.
Una delle canzoni che avete diffuso in anteprima racconta la storia di Peter Kolosimo, saggista-romanziere fantascientifico, autore di libri vendutissimi in tutto il mondo. E, soprattutto, comunista. È vero che attorno alla figura di Kolosimo potrebbe dipanarsi uno dei prossimi progetti narrativi dei Wu Ming?
Non so da quale fonte hai tratto l’informazione, ma sì: Ufo, parapsicologia e lotta di classe nel paese a forma di stivale, circa 1975… Kolosimo scriveva romanzi in forma di saggi: per questo molti lo considerano un cialtrone alla Kazzenger. Invece era un marxista e un visionario, cioè una razza d’uomo di cui ci sarà sempre molto bisogno.
Infine, e qui l’intervistatore non può che cadere nella più classica delle domande del giornalismo musicale: siete appena stati in studio e avete registrato il vostro primo album. Cosa ci puoi anticipare?
Il lavoro suona bene, e nonostante riferimenti stilistici ormai antichi, suona contemporaneo, immediato. Sono undici brani rabbiosi, attraversati dalle parole “rivoluzione” e “terrore”, come il nostro nuovo romanzo collettivo. Una buona colonna sonora per non morire di freddo nella triste ipocrisia di questo tempo.