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Il rabdomante dell’immaginario
Ad un anno dalla scomparsa di Antonio Caronia, per continuare a immaginare mondi a venire
A dodici mesi dalla morte di Antonio Caronia, il convegno in sua memoria su “Fantascienza, sociologia dell’avvenire?” si terrà il 28 gennaio a Roma e il 7 febbraio a Cosenza. In preparazione del doppio appuntamento, pubblichiamo un articolo di Antonio Tursi uscito sulla rivista “Outlet. Per una critica dell’ideologia italiana”, nel numero dedicato all’Ingovernabilità.
Nell’Italia berlusconiana, da cui sognavamo di essere usciti ma in cui siamo forse sempre immersi, si è palesato nell’ultimo periodo un’articolazione di due miti apparentemente opposti, un’articolazione che forse non era impossibile prevedere ma di cui nessuno voleva e poteva (vuole e può) farsi carico. Da un lato, il mito del divertimento assoluto, di una società dello spettacolo che si è fatta direttamente potere e addirittura chiede di essere potere costituente (Berlusconi si è detto disponibile a presiedere una commissione bicamerale e bipartisan per la riforma dello Stato). Dall’altro, il mito della governance, della responsabilità di fare un governo anche al di là della politica (il governo tecnico) e della dialettica politica (il governo delle larghe intese). Un manipolato principio di piacere che si lega ad un presunto principio di realtà.
Perché era inevitabile questa articolazione tra miti apparentemente opposti? Perché si è condensato negli ultimi tempi questo mito della governance? Quali vie di fuga si danno in questo contesto?
Sicuramente la linea genealogica che ha portato dal potere pastorale finalizzato alla amministrazione e alla salvezza delle anime al governo degli uomini, dei loro corpi e dei loro comportamenti, offre una chiave di lettura decisiva: la gloria splendente e necessaria di Dio si sarebbe tradotta in magnifica e altrettanto necessaria tecnologia del “governo”, attraverso la debordiana “società dello spettacolo”. Ma, oltre alle interpretazioni filosofiche (di Foucault e di Agamben), può essere rivelatrice anche una lettura profonda delle dinamiche dell’immaginario. Una lettura come quella proposta da Antonio Caronia.
Caronia è stato un precursore nello studio della fantascienza, di quella sociologia dell’avvenire che ormai in tanti praticano. Dall’esperienza di “Un’ambigua utopia”, collettivo e rivista tra fantascienza, ribellione e radicalità, ai volumi su “Il cyborg” e “Il corpo virtuale”, Caronia ha voluto e saputo leggere, in anni lontani, spostamenti dell’immaginario che segnalavano mutamenti sociali e pratiche politiche che solo ora vengono trascritti nei saggi accademici.
Era una specie di rabdomante dell’immaginario: attraverso l’analisi accurata di autori come Dick e Ballard, osservava la realtà dal parabrezza e non dallo specchietto retrovisore, riuscendo a cogliere quel superamento di confini tra natura e cultura, umano e macchinico, realtà e science fiction che caratterizza il nostro vissuto quotidiano. Forse i due più importanti insegnamenti che emergono dal suo peculiare metodo di indagine riguardano la necessità di andare oltre gli irrigidimenti disciplinari (gli specialismi) e di cogliere la profondità del superficiale (che è sempre definito tale da qualcuno). Qui viene in mente un lavoro denso come “Il dramma barocco tedesco” di Walter Benjamin. Uno scavo sconfinato in un “genere” letterario, in una letteratura anche minore che rivelava però cambiamenti paradigmatici nella concezione moderna del potere.
E proprio al corpo a corpo con il potere, Caronia non è mai sfuggito. Sia nella riflessione teorica che nel diretto impegno politico. Dalla sua militanza trotskista alla recente occupazione del palazzo della Borsa valori di Milano.
Una posizione decisa la sua, difficilmente conciliabile con una visione più istituzionale dell’agire politico. Una posizione che, nei suoi testi e nei suoi seminari, invitava a riconoscere nell’immaginario non un campo di lotta politica ma il campo della lotta politica, quello sul quale agire per alterare i rapporti di forza vigenti.
L’esplorazione di Caronia tendeva a mostrare come la società dello spettacolo, mentre offriva margini di resistenza spesso trascurati e non praticati, poneva in essere tecnologie volte a esercitare il controllo sociale, o meglio orientate alla costituzione stessa del sociale, che nulla lasciavano all’improvvisazione e allo spontaneismo. Insomma, la richiesta pressante di divertimento comportava anche (e nel caso di Berlusconi soprattutto) una necessità di incanalare il corpo sociale verso rigidi meccanismi di governo e consenso. Ecco, se avessimo saputo leggere l’immaginario e nello specifico la letteratura di fantascienza come ha saputo fare Caronia, avremmo potuto prevedere che il mito del di-vertimento non portava ad altro che al mito della governabilità. Poi ci sono volute le controfigure della scena politica attuale perché la saldatura di mostrasse in pieno. Ma lungo gli anni qualche indizio c’era stato: il grigio tecnocrate Monti era stato una scoperta del gigione cavaliere Berlusconi. Bisognava attendere l’affondamento della sinistra (l’auto-affondamento) perché Berlusconi potesse togliersi la maschera spettacolare e mostrarsi nel suo vero volto: un amministratore della politica. Purtroppo ci si accorge tardi che la dimensione propria di questa politica è quella economica. Una dimensione che però non riesce più a esprime nessuna autorità ma solo una pratica tecnico-burocratica di governo. Perché, nel frattempo, lo stesso immaginario ha contribuito a dislocare la mente sociale su un’altra dimensione.
Una dimensione del tutto ingovernabile attraverso i due miti speculari e ormai legati insieme che si spendono del tempo presente. Tra queste due dimensioni, da un lato, quella tracciata dal congiungersi del divertimento e della governance e, dall’altro, quella del tutto ingovernabile di una mente sociale sempre più articolata ed eterogenea, sarà inevitabile il conflitto prossimo venturo. E anche su questo Caronia ci aveva avvertito, segnalando quei margini di resistenza che sono assolutamente da riscoprire.