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ITALIA

Il dolore, la rabbia, la vergogna della pianura pontina

Satnam Singh ucciso nelle campagne della pianura pontina da un padrone che non ha nemmeno avuto il coraggio di portarlo all’ospedale. Ma l’ha lasciato agonizzante di fronte il cancello di casa, con la moglie Sony in lacrime. Sabato la manifestazione a Latina, nelle terre di caporali, padroncini e resistenze

Per arrivare da Roma a Latina, “capitale” dell’Agro Pontino, si percorre tutta la Pontina, una delle statali più pericolose d’Italia. Buche, cumuli di rifiuti ai lati delle strade e poi capannoni, magazzini, rivenditori. Da Pomezia iniziano i primi campi coltivati e braccianti che percorrono le strade laterali delle coltivazioni. Ci sono persone che provengono dai paesi dell’Africa centrale, dal Maghreb, e indiani, come Satnam Singh.

Singh deriva dal sanscrito sinha e significa leone ed è un elemento essenziale del nome maschile di un Sikh. Per le donne è Kaur, principessa. La religione Sikh, nata nel XV secolo nella regione del Punjab (oggi divisa tra Pakistan e India), utilizzò questi nomi per eliminare l’uso dei cognomi identificativi delle caste indiane.

Secondo le stime nell’Agro Pontino gli e le indiane provenienti dal Punjab sono più o meno 30.000, meno della metà ha un permesso di soggiorno regolare.

La cooperativa Agrilovato dell’ imprenditore agricolo Renzo Lovato si trova vicino a Sabaudia, Satnam Singh e la moglie Sony vivevano non troppo lontano a Borgo Bainsizza. “Ospitati” da una famiglia della zona, come scrivono i giornali, ma è pratica comune “l’ospitalità diffusa” nella zona in baracche, magazzini per gli attrezzi, case mai concluse, senza contratto e con un pagamento in nero, alcune volte in accordo con “il padrone”. Proprio “il figlio del padrone” Antonello Lovato ha chiuso nel retro del furgone bianco Satnam, senza un braccio, con le gambe rotte e sanguinante, la moglie che urlava disperata e altri lavoranti a cui era stato tolto il telefono per non chiamare i soccorsi. Sono 34 km, quelli che separano l’azienda dal Borgo, almeno mezz’ora di strada, di urla, di sangue, minuti che se spesi per andare in ospedale avrebbero potuto salvare la vita di Satmam. 

Trentaquattro chilometri di strade dritte, tutte costruite in seguito alla bonifica fascista, che ha fatto emergere queste terre dalle paludi, eliminato la malaria e dato vita al settore agricolo pontino, uno dei più importanti d’Italia. Zucche, porri, fagioli in inverno, zucchine e pomodori d’estate. Distese di serre e allevamento di bufale e vacche.

A lavorare nei campi dei fantasmi – così li chiama dal palco della manifestazione di sabato scorso la Segretaria Flai Cgil di Frosinone e Latina Laura Hardeep Kaur –ricattati perché senza documenti, anche se quasi tutti entrano con la lotteria del decreto flussi, il nuovo metodo legale per lo sfruttamento di manodopera irregolare.

Trentaquattro chilometri per arrivare a Bainsizza – nome di un altopiano, oggi sloveno, dove si è svolta la battaglia dell’Isonzo, come molti altri borghi della piana porta il nome delle battaglie della Prima Guerra mondiale, come volle Mussolini – e scaricare Satnam e il suo braccio in una cassetta della frutta davanti a uno dei cancelli e andare via. Alla richiesta di uno dei vicini accorso sentendo le urla di chiamare il 118 spiega velocemente: «non è regolare, si è tagliato». Sentenzierà meglio il padre al Tg1 «Gli avevo detto di non avvicinarsi a quella macchina. Ha sbagliato, una leggerezza costata cara a tutti». 

Quanto valgono le vite dei Singh e delle Kaur in questa piana fertile e rigogliosa? Tra le 2,50 e le 5,00 euro l’ora, paghe mensili anche di 200 euro, alloggi fatiscenti, trasporti pericolosi. Alcuni muoiono e i corpi vengono nascosti e abbandonati, molti e molte si fanno male dopo 10 ore di lavoro sotto il sole, altri svengono e spesso sono costretti a prendere droghe per resistere al lavoro sfiancante e sono minacciati dai padroni con armi da fuoco. 

La manifestazione di sabato 

Piazza della Libertà a Latina si apre tra il Palazzo del governo e la Banca d’Italia, in lontananza si erge una stele fascista con un’aquila guardinga e sabato tardo pomeriggio era gremita di braccianti, sindacaliste e sindacalisti, lavoratrici e lavoratori, ma pochi, pochissimi cittadini e cittadine di Latina. Littoria è stata inaugurata nel 1932, intorno allo stadio si notano ancora adesivi che inneggiano al vecchio nome. Qui la bonifica è stata svolta dalle popolazioni friulane, emiliane e venete – il cognome Lovato risuona in questa storia di immigrazione – e fu portata avanti sotto il comando dell’Opera Nazionale Combattenti. Il numero dei morti nessuno lo conosce, probabilmente decine di migliaia non videro mai le terre assegnate loro nei Borghi. Ogni terreno era consegnato con uno stabile e degli animali, l’obbligo era portare avanti il lavoro agricolo e ripagare il debito contratto con lo Stato fascista. 

Nella provincia di Latina alle ultime elezioni europee Fratelli d’ Italia ha preso quasi il 35% e la Lega poco più del 9% quindi il 44% della popolazione ha votato la destra più estrema e un altro 10% Forza Italia; Meloni ha ricevuto 28.000 preferenze solo a Latina. Questo è il cuore pulsante di Fratelli d’Italia.

L’attuale Sindaca Matilde Celentano, sempre di FdI, è salita sul palco per dire che Latina non deve essere identificata come la città del caporalato e che la lotta contro questo fenomeno non ha colore politico. Eppure nella piazza colori ce ne sono, a parte le bandiere rosse della Flai Cgil, la piazza è illuminata dai turbanti dei Sikh, gialli, rossi, arancioni, viola, blu. E loro il colore dei padroni lo conoscono bene: è il bianco. L’intervento della sindaca si è concluso tra i fischi della piazza.

Non è la prima volta che qui viene chiamata una manifestazione, nel 2016 ci fu il primo sciopero, e poi le lotte per la sicurezza sul lavoro durante il Covid, inchieste giornalistiche, denunce e indagini, ma le condizioni di vita e di lavoro non sono migliorate. «Il nostro compito è di non mollare questa battaglia – urla Marco Omizzolo dal palco, sociologo che denuncia da anni la situazione – di continuare, di accelerare, di chiedere la cancellazione della Bossi-Fini, delle logiche che hanno ispirato i Decreti Sicurezza, il Decreto Cutro, i Decreti flussi, bisogna cambiare la legge sulla cittadinanza».

A Sony, la moglie di Satnam, dopo la sua morte, in due giorni è stato concesso il permesso di soggiorno, emblematico esempio che quando c’è la volontà politica i documenti si ottengono. Ma «i documenti li vogliamo da vivi, non da morti», grida Sapnam Singh tesserato Flai CGIL dal palco.

E anche la piena applicazione della legge 199/2016 sullo sfruttamento del lavoro in agricoltura, la protezione e la concessione del permesso di soggiorno per chi denuncia e controlli continuativi nelle aziende agricole. 

Satnam non è un caso isolato, la cooperativa della famiglia Lovato, già indagata per sfruttamento della manodopera e caporalato, non è una mela marcia, come ha provato ad argomentare il Ministro Lollobrigida, e il problema non è l’immigrazione clandestina. Dai campi dell’Agro Pontino si vede come il Made in Italy sia macchiato di sangue, qui vige un sistema ben consolidato di entrate regolari, che non si trasformano mai in permessi di soggiorno una volta che le persone arrivano in Italia, e le fa vivere sotto il ricatto di caporali, padroni, leggi sbagliate e infiltrazioni mafiose. Un sistema che arricchisce pochissimi, mentre impoverisce la maggior parte delle persone, ne uccide alcune, ne ferisce altre e inquina l’ambiente. 

Le nostre campagne, le cucine dei ristoranti, i cantieri edilizi sono pieni di fantasmi, che vengono a galla solo con la loro morte violenta, quando non si riesce a nasconderla, e ogni giorno vivono all’ombra del nostro sistema produttivo, per avere frutta e verdura fresca, cene ben servite e case ristrutturate. Tutto al minor prezzo possibile. E il nostro sistema legislativo costruisce l’impalcatura per questo sfruttamento. 

Continua Omizzolo: «Dobbiamo ribellarci insieme. Qui c’è una comunità di donne e di uomini, di persone che si stanno organizzando, una nuova resistenza. Con loro dobbiamo cambiare questo Paese, ci sono persone che si sono costituite parte civile nei processi, c’è un’attività di denuncia quotidiana, perché quello è accaduto a Satnam, a sua moglie, alla sua famiglia, non deve più ripetersi, qui e ovunque, indignarsi non basta, dobbiamo ribellarci!».

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