PRECARIETÀ

Il coraggio della verità

A proposito dello sciopero dei docenti strutturati: una protesta che isola solo una parte della condizione generale dell’Università. «Questo sciopero è una volgare provocazione, inutile girarci intorno». Una protesta che prova a isolare soltanto un pezzo di una generale condizione disastrosa dell’università pubblica: quello legato ai soldi dei docenti strutturati.

La Ministra Fedeli dà i numeri

Visto l’evento epocale, pensiamo sia giusto spendere qualche parola riguardo allo sciopero indetto dai docenti strutturati per lo sblocco degli scatti stipendiali e il recupero dell’anzianità di servizio. Prima di tutto, sgomberiamo il campo da qualunque possibile polemica e/o strumentalizzazione. Lo strumento di lotta scelto dai docenti, lo sciopero, è più che legittimo. Anzi, è una conquista democratica fondamentale ottenuta il secolo scorso con le lotte di tanti lavoratori. Inoltre, anche le motivazioni sono fondate: perché mai lo sblocco per i docenti è avvenuto nel 2016 mentre per altre categorie del comparto pubblico gli stipendi sono stati aumentati nel 2015? Perché alcune categorie (forze dell’ordine, magistrati, avvocatura dello Stato) hanno recuperato l’anzianità mentre i docenti universitari no? Tutte rivendicazioni ragionevoli.

Il problema emerge nel momento in cui si analizza il contesto in cui questo sciopero si inserisce. Non è possibile valutare un’azione di rivendicazione come questa, senza contestualizzarla storicamente e senza tenere conto della genealogia della situazione in cui versa l’università pubblica italiana. Non è necessario ripetere i dati riguardanti lo stato critico in cui si trova il sistema universiatario, che sono noti a tutti gli addetti ai lavori, ma una cosa va detta con chiarezza. Per chi come i precari lavora a intermittenza con contratti che non prevedono nessuna tutela (e addirittura, in alcuni casi, nessuna copertura previdenziale) o, peggio ancora, per chi lavora gratis nella cornice dell’economia della promessa senza nessuna garanzia per il futuro, questo sciopero è una volgare provocazione, inutile girarci intorno.

Forse i docenti dovrebbero prima di tutto farsi una domanda: perché i governi ci stanno trattando peggio di altri dipendenti pubblici? Qui possiamo provare a suggerire una risposta: forse perché in tutti questi anni hanno permesso che il comparto università venisse demolito da tutti i governi senza alzare mai un dito? È noto che tra i docenti che ora si ergono a paladini della “lotta di classe” c’è chi si è speso a scrivere le riforme a quattro mani con Gelmini, chi ha accettato passivamente e chi addirittura ha minacciato di stroncare la carriera ai ricercatori che avevano dato l’indisponibilità a prendere in carico corsi che non erano tenuti a fare.

Che tutta questa guerra per accaparrarsi le briciole delle briciole lasciate sotto il tavolo delle riforme a cui loro stessi si erano seduti, una guerra rivolta verso il basso invece che verso l’alto, abbia suggerito e permesso ai Governi di continuare a prendere i docenti a pesci in faccia? E dire che le occasioni per scegliere da che parte stare, in questi dieci anni, i docenti le hanno avute, a partire dai movimenti studenteschi e dei precari della ricerca che nel 2008 e 2010 si sono opposti alla legge 133 e alla legge Gelmini.

I movimenti del 2008 e 2010 si opponevano proprio all’idea di università che i governi hanno messo in piedi negli anni seguenti con la complicità dei docenti. Studenti e precari ci avevano visto lungo. Tutte/i negli atenei sapevamo che la tendenza sarebbe stata quella che oggi conosciamo. Non era una buona occasione per riguadagnare la dignità che ora dicono di voler riconquistare con questo sciopero? Fermare la privatizzazione degli atenei (vista l’entrata dei privati nei CdA delle università per statuto), bloccare l’istituzione dell’ANVUR, impedire la precarizzazione di massa del lavoro vivo nelle università, garantire un vero diritto allo studio e riaffermare con forza il ruolo sociale dell’università: questo andava fatto. Si sono mai viste mobilitazioni o scioperi di docenti strutturati per il diritto allo studio? E per il reclutamento dei ricercatori precari? Cioè di coloro che tutti i giorni lavorano fianco a fianco con i docenti… anche se forse sarebbe più corretto dire precari che vengono sfruttati dai docenti, svolgendo talvolta (per usare un eufemismo) mansioni che non spetterebbero loro quali esami, lezioni, scrittura di progetti proprio al posto dei docenti stessi. E contro i criteri valutativi dell’ANVUR che stanno trasformando profondamente quello che dovrebbe essere il ruolo sociale dell’università, istituzione che ha il compito di trasmettere ed elaborare conoscenza e saperi critici? Ah sì, su quest’ultimo punto un paio di anni fa si mobilitarono: era la mobilitazione #stopVQR ed erano pronti a non fornire i prodotti della ricerca da valutare fino a quando… non gli sarabbero stati sbloccati gli stipendi! Non si sfugge, sempre di soldi nel loro portafogli stiamo parlando1..

Ultimamente i docenti, di fronte ad alcune critiche, soprattutto degli studenti, ripetono che la loro mobilitazione non è una vertenza corporativa, che questa protesta serve per «ricostituire una coscienza di classe», «riguadagnare fiducia e consapevolezza nei propri mezzi per poi [una volta ottenuti gli scatti, naturalmente ndr] costruire mobilitazioni ampie, con tutte le componenti universitarie, per opporsi allo smantellamento del sistema universitario». Un primo passo verso la rossa primavera, insomma. Viene spontaneo chiedersi: ma dove siete stati tutti questi anni se eravate così preoccupati e contrari alla distruzione del sistema universitario in questo paese?

Inoltre, se, con una forza di volontà notevole, si volesse provare a credere alla favola dei due tempi, il documento Obiettivi del Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria: piano pluriennale di richieste, oltre a ribadire in modo netto che «classi e scatti assumono priorità massima» (nessun ulteriore commento su questo punto si rende necesssario), chiarisce bene qual è l’ordine delle cosiddette priorità di secondo livello: 10mila progressioni di carriera per i docenti strutturati a fronte di 4mila nuovi posti per i ricercatori precari (che nel frattempo sono arrivati a quasi superare i docenti strutturati attestandosi oltre le 40mila unità..). Se non è bieco corporativismo questo!

Inutile, quindi, cercare fronzoli per dare un barlume di nobiltà e rispettabilità a questo sciopero. La realtà è che i docenti non riescono neanche ad avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilità ammettendo, una volta per tutte, che questo è uno sciopero tutto corporativo. Al di là delle future mobilitazioni ampie che dicono di essere pronti a fare una volta ottenuti i loro soldi, arrivano addirittura ad affermare che lo fanno per i docenti più giovani, per la loro pensione che sarà la più penalizzata fra il corpo docente. E quando i precari si sono mobilitati per avere non la pensione (figuriamoci!), ma almeno un sussidio di disoccupazione (Discoll) per poter vivere nell’attesa di un altro contratto precario firmato proprio da un docente (magari scioperante)… loro dov’erano? Non pervenuti. Senza vergogna.

Abbiano quindi almeno la decenza di ammettere che di fronte alla situazione attuale dell’università, le loro uniche reali preoccupazioni sono il loro stipendio e la loro pensione: il resto è solo una cornice per provare a rendere difendibile pubblicamente un’operazione corporativa.

Se vogliono invece iniziare a parlare di dignità, le strade sono diverse e si costruiscono insieme alle altre componenti per mettere in campo una lotta di sistema. Non una lotta di classe dall’alto verso il basso, ma un vero sciopero unitario di tutto il comparto università costruito orizzontalmente dal basso con chi da anni (studenti, ricercatori precari e personale tecnico amministrativo) mette in campo strategie di resistenza e risposta alle politiche governative.

ps. Rimandiamo in anticipo al mittente qualunque accusa di voler fare il gioco del governo dividendo il fronte. Se c’è un soggetto che sta rompendo definitivamente il corpo sociale dell’università è proprio il cosiddetto Movimento per la dignità della docenza Universitaria che ha indetto lo sciopero.

 

1 Per completezza è giusto ricordare che vi fu anche una mobilitazione #stopVQR non corporativa che si fondava su una piattaforma rivendicativa molto ampia, con al centro l’insieme delle criticità del sistema universitario. Tuttavia, questa piattaforma fu estremamente minoritaria rispetto a quella puramente corporativa.