ROMA
Il biscotto
A volte le partite non si giocano sul campo, ma negli spogliatoi
• Raggi di cemento illuminano Roma
Succede che due squadre che dovrebbero battersi combinano un “biscotto” per mettere fuori gioco l’avversario più pericoloso. Quello che affrontandolo vincerebbe facile su entrambi. Succede nel calcio. Succede nel campionato della rendita urbana. Roma. Se questa è una città.
Il finale di partita del cosiddetto Stadio della Roma si giocherà ai playoff. Una sfida a due. Si ritroveranno di nuovo in campo la squadra della costruzione della rendita e quella dei paradigmi autorizzativi della sua organizzazione spaziale. Le stesse due squadre che, nel girone ad eliminazione, hanno fatto fuori la città pubblica. Un risultato storico. Arrivato con la semifinale. Al duplice fischio dell’arbitro genovese i due concorrenti hanno esultato. Ognuno è andato sotto la propria curva alzando i pugni al cielo, felice d’essere riuscito ad evitare di dover affrontare la città nell’ultimo incontro. Roma è ormai fuori.
Le due squadre potranno così continuare a giocare una finale dove entrambe puntare al pareggio. Dovranno badare esclusivamente a praticare la mossa vincente rappresentata dalla “diagonale difensiva”. È richiesta la massima attenzione perché, anche se la città è out, ha ancora molti affezionati supporter: quelli che la abitano. Hanno deciso infatti di seguire quest’incontro. Di andare a vedere direttamente. A partire da come è andata nel torneo preparatorio.
Le partite fin qui si sono svolte a porte chiuse e l’audio di coloro che le hanno raccontate è rimasto bloccato sul tasto del “telecronista del tifoso”. Quello dell’Amministrazione Comunale parla di grande vittoria ecologista, di rispetto della legalità e di opportunità per la città. Quello dei proponenti parla della creazione di uno stadio fantastico, perché nato dalla condivisione della “politica”. È proprio così? o sono state le parole a far salire la linea difensiva e mettere in fuori gioco la città?
Roma ha bisogno anche (?) di uno stadio. Chi ha deciso di farlo ha imposto la necessità di superare i rigidi (sic) steccati dell’urbanistica. Ha chiesto alla politica di dichiarare l’inutilità di questa disciplina. L’amministrazione ha accettato. Ad iniziare dal non aprire bocca sulla scelta del luogo e dal richiedere di valutare la proposta iniziale attraverso il confronto comparativo ambientale tra varie possibili localizzazioni. Chi conosce le 81 proposte raccolte dalla società As Roma tra le quali è stata scelta Tor di Valle? Chi dell’Amministrazione ha “pesato” in fase di interlocuzione preliminare il rapporto tra quanto veniva proposto con le cubature ammissibili del piano regolatore, le condizioni di accessibilità (pubblica e privata) presenti nell’area, valutate le funzioni che lo stadio si portava appresso e il conseguente impatto sociale? Nulla. Solo: prego s’accomodi.
Ancor prima del ragioniere Grillo, il ragionier Marino e il suo contabile Caudo, ammirato in un memorabile viaggio a casa di Pallotta il progetto, hanno tirato le somme. Hanno considerato il territorio romano come una disponibile “offerta” dove ogni sua parte non è da valutare per le proprie caratteristiche ambientali e la propria capacità di costruire “territorio” a partire dalle trasformazioni materiali prodotte da chi, vivendolo, le produce. Tutto è a disposizione.
Decidendo di ricevere un servizio privato, pagando l’acquisizione di infrastrutture, che servono principalmente al suo funzionamento, con la concessione di cubatura “monstre”, hanno indicato questo come l’unico programma possibile di abitare la città. Tanto costruisci, tanto paghi in opere pubbliche. Alla politica è richiesto solo un passaggio: il riconoscimento della pubblica utilità basato sul dare ed avere, ancor prima di andare a valutare cosa ogni proposta comporta in termini di ricchezza dell’abitare per l’intera città. Si sarebbe dovuto aspettare il progetto definitivo per farlo e il momento sarebbe stata la Conferenza dei servizi. Quando il progetto dello Stadio e del suo tanto intorno è arrivato con i suoi 900mila metri cubi complessivi solo allora si è aperto il confronto. Non si è aperto con la città. Per parlare dello Stadio anzi possiamo dire che l’amministrazione della Sindaca Raggi, ha congelato il resto della città. Nulla sulle periferie, nulla sui trasporti, nulla sul recupero, poco, perché costretti dalle indagini giudiziarie, sulla truffa dei piani di zona.
Per la sindaca, il suo avvocato ligure attento alle carte e ai conti, l’architetto amico di Grillo che i giornali ci raccontano aver “revisionato” il progetto dell’archistar yankee, l’onnipresente regia dello studio Tonucci, la città si è trasformata da opera collettiva per eccellenza in offerta singola. Virginia Raggi ha scelto, come avrebbe potuto fare (quale occasione migliore?), di non mettere in discussione modalità operative e paradigmi costituenti delle operazioni di rendita urbana.
Ha mai forse parlato del piano regolatore che aveva promesso di “cambiare completamente”? Continua a parlare di rispetto delle regole. Quali? Il progetto concordato, quello che tanto piace a Luigi Di Maio che ritrova, in quanto deciso allo studio Tonucci, i valori portati avanti dal Movimento, non mette in discussione l’infelice localizzazione e riafferma che a decidere che cosa fare e dove farlo è compito del proponente.
Aumenta l’impermeabilizzazione del suolo spalmando intorno al catino dello stadio 18 palazzine. Riduce il drammatico problema dell’accessibilità, offrendo ai martiri di chi, giornalmente, utilizza la linea Roma-Lido non un aumento del numero dei treni, bensì la gioia di transitare sotto un disco volante. Così il progettista della nuova stazione di Tor di Valle, in uno spot della saga comunicativa pallottiana presente in rete, definisce il nuovo impianto.
Si lima la cubatura complessiva. Questa continua ad eccedere per oltre il doppio quanto il piano prevede. Si libera Pallotta dal peso di trovare finanziamenti per i tre grattacieli, e soprattutto dalla ricerca di chi vorrà utilizzarli. Sarebbe stato certo difficile dopo la dichiarazione di non interesse d’acquisto da parte di Unicredit. Gli si fanno risparmiare 700 milioni dell’investimento, e insieme, buona parte di quanto destinato alla realizzazione di opere pubbliche. Non ci saranno punto. Soprattutto ci saranno quelle che serviranno esclusivamente all’impianto. Si è concesso la rateizzazione temporale degli interventi. Come accade ancora in un qualsiasi piano di zona con i risultati che abbiamo sotto gli occhi.
Un successo per tutte e due le squadre che trovatesi di fronte avrebbero dovuto combattersi per decidere come affrontare la città. Cercare di ritrovare le fila di una possibile regia pubblica. Sentirsi liberi di continuare a operare senza alcun controllo. È uscito fuori un pareggio. Ha permesso alla sindaca Raggi d’intestarsi il merito di un innegabile successo politico e di farsi riconoscere, questa volta non a sua insaputa, la concretezza di non voler interrompere, come era avvenuto con la candidatura delle Olimpiadi, il gioco della rendita. Ha permesso a mister Pallotta di salvarsi in corner e continuare a giocare un gioco dove, con queste premesse, le regole potranno cambiare in qualsiasi momento.
Resta Roma messa fuori gioco nel corso di un’ultima partita che sembra essere stata giocata apposta per confezionare un biscotto alla città. Roma però è iscritta, di diritto, al campionato del protagonismo sociale. La palla è di nuovo al centro.