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Disfare e rifare le case. Carlotta Cossutta e le esperienze femministe dell’abitare #2

Nella seconda parte della recensione di “Domesticità” si esaminano le funzioni negative e positive della casa, al contempo spazio possibile per la violenza di genere od occasione di protezione, dialogo e cooperazione

Il volume Domesticità. Lo spazio politico della casa nelle pensatrici statunitensi del XIX secolo, scritto da Carlotta Cossutta e recentemente edito da ETS, è uno strumento femminista prezioso. Un testo che ci serve per guardare lo spazio del domestico al contempo da lontano e da vicino. Da lontano: Cossutta ci permette di rintracciare nel passato diversi tentativi femminili, se non esplicitamente femministi, di riscrivere lo spazio dell’abitare oltre i vincoli dell’architettura dominante e dell’ingegneria sociale. Da vicino: Carlotta ci consente di muoverci lungo la linea del tempo, così che i quesiti sulla dimensione-casa, che ci poniamo qui e ora, come femministe occidentali del XXI secolo, si riarticolino intrecciandosi a storie, sperimentazioni e immaginari emersi dalla riflessione e dall’incontro tra donne in altri tempi e altri dove.

Comunità utopiche ed esperimenti di welfare urbano

In Domesticità di Cossutta i passaggi dedicati al lavoro di Marie Howland e Alice Constance Austin sono tra i più curiosi e appassionanti, poiché entrambe presero attivamente parte alla costruzione e gestione di due comunità ispirate al comunitarismo utopico, aventi come obiettivo la completa autonomia e indipendenza politica e d’approvvigionamento: la prima a Topolobampo in Messico, la seconda a Llano del Rio in California. Spazi comunitari reali, quello di Topolobampo e Llano del Rio, in cui proliferano stanze e spazi per la discussione e le assemblee, per la lettura, per il gioco e l’intrattenimento, per lo svolgimento di lavori di manutenzione. In entrambe le esperienze, inoltre, il servizio-ristorante comunitario, in alternativa al pasto cucinato dalla singola per il proprio gruppo familiare, si organizzava anche come un vero e proprio servizio-catering, consentendo a ciascun membr* delle comunità di scegliere se consumare il pasto in una sala comune oppure privatamente nella sua casa all’orario pattuito.

Austin, architetta di formazione, si spinse addirittura a immaginare case facilmente pulibili e riordinabili grazie a materiali e mobili comodi e smart, e ipotizzò persino un complesso sistema infrastrutturale di camminamenti sotterranei che avrebbero agilmente rifornito di cibo le case. Ma non solo cucine e pulizie nel XIX secolo delle filosofe dell’abitare. Topolobampo si organizzava attorno a una Costituzione – alla cui scrittura Howland partecipò attivamente – in cui si sanciva la necessità di prendersi cura dell’ambiente in cui la comunità si era insediata, in modo da promuovere contatti salubri tra corpi e territorio-ospitante, tenendo presente sia la salute fisica sia quella psichica ed emotiva degli abitanti. Inoltre, vi si specificava la necessità di farsi carico di stimoli intellettuali e un’educazione permanente per non impoverire gli immaginari e mantenere alto il livello culturale collettivo. Ancora, la dimensione estetica e ludica erano punti cruciali nella Costituzione all’avanguardia di questa comunità, nella consapevolezza che senza piacere nessuna società può perdurare e farlo in modo integro.

In questa comune, abitata solo da persone bianche, alcune donne – tra cui Howland – cercarono di porre la questione della redistribuzione dei carichi riproduttivi, domestici e di cura con gli uomini, ma con scarsissimi risultati, come rileva benissimo Carlotta: la proposta di slabbrare i confini tra funzioni sociali di genere, per ripensare i generi stessi oltre all’eredità binaria, non fu accolta dalla maggioranza, soprattutto dagli uomini.

Un tentativo reale di sovvertire i rapporti sociali tra i generi viene dall’esperienza della Hull House a Chicago. Animata dalla filosofa pragmatista Jane Addams, la Hull House si scosta dagli immaginari chiusi delle comunità utopiche di stampo socialista, in quanto vero e proprio tentativo di sperimentare una forma di welfare urbano, autogestito dalle donne in collaborazione alle comunità locali, gravitando attorno a un edificio abitato principalmente da giovani donne ma aperto alle esigenze del quartiere operaio e a maggioranza migrante – soprattutto di origine italiana – in cui si trovava. A Hull House la partita femminista volta alla trasformazione dei rapporti sociali tra uomini e donne conquista un ruolo di rilievo tale che negli spazi dedicati all’intrattenimento dei/lle più piccoli/e si puntava sulla femminilizzazione dei giochi per i maschi e maschilizzazione dei giochi per bambine, con l’obiettivo di destabilizzare la pedagogia binaria corrente. Hull House offriva un servizio d’asilo per le donne lavoratrici del quartiere a prezzi popolari, quasi simbolici in modo da consentire alle madri di lavorare e garantire a* bambin* un contesto stimolante e comunitario, offendo pasti sani e nutrienti.

Questo progetto all’avanguardia al suo tempo rimanda a esperienze di quartiere più recenti, in altre zone sacrificali, ossia in zone delle città abitate da persone razzializzate e di classe popolare. Penso alle othermothers, ossia donne razzializzate che nel XX secolo attuano pratiche comunitarie traducendo le culture nere e diasporiche della cura nei quartieri USA, intessendo relazioni riproduttive con le persone più giovani, e non, oltre il legame genitoriale o di sangue (Hill Collins, 2020). Ma penso anche al programma di colazioni gratuite per bambini e bambine ad opera del Black Panthers Party, accompagnato da corsi di autodifesa per persone razzializzate in città suprematiste e violente, corsi di legge per conoscere i propri diritti in caso di arresto o corsi di economia per conoscere e reinventare strategie di sopravvivenza in condizioni di precarietà materiale. Il programma welfaristico delle Pantere Nere, intelleggibile attraverso la lente della riproduzione intesa come rigenerazione fisica e sociale dei corpi e delle loro comunità, mi ricorda l’esperienza di Hull House in molti altri aspetti: nella casa animata da Addams, infatti, si tenevano corsi di cucina dietetica con l’obiettivo di mescolare le tradizioni culinarie migranti del quartiere con una conoscenza nutrizionale in grado di mantenere i corpi in salute, si organizzavano incontri e letture, ma anche si costituì un sindacato delle lavoratrici. Non solo: a Hull House aprì un Museo del Lavoro sui generis, uno spazio ibrido in cui molte donne del quartiere lavoravano secondo le loro tradizioni (nel campo, per esempio, della filatura, tessitura), rendendo visibili saperi artigiani che, per Addams, erano un patrimonio imprescindibile, mirando a una valorizzazione delle competenze di soggettività poste ai margini dalla nascente cultura industriale.

Di Carolina Latorre Canet

Casa come sito della violenza di genere

Nel Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere pubblicato nel 2017, Non Una di Meno Italia (in cui Carlotta è attiva) parla di un problema della casa, là dove violenza fisica e violenza economica si aggrovigliano. La casa come sito della violenza, del resto, si è esacerbato negli ultimi anni in concomitanza alla pandemia e al ripiegamento dei soggetti nello spazio domestico: per l’Italia sono sufficienti a suggerire la dimensione del problema i dati al ribasso Istat.

I nessi tra violenze a matrice patriarcale ci permettono, in compagnia di Cossutta, di porci in rapporto di continuità critica alle autrici del XIX secolo, e di porre queste ultime in assonanza a esperienze e riflessioni ancora precedenti sull’abitare come sito per materializzare condizioni più sicure per le donne.

Vivere separatamente, per esempio, ricorre come tentativo di appropriarsi di linguaggi, spazi, aspirazioni e condizioni migliori. Cossutta ci parla, tra le altre, delle beghine: né mogli né suore, ma donne nubili unite da condivisione degli spazi di vita e delle risorse nella regione delle fiandre, Francia e Germania, a partire dal XIII secolo. Mi godo questo esempio di donne che curavano i malati del territorio per consentire a loro stesse di guadagnare quanto necessario per non dover scegliere tra il convento o il matrimonio: quando vivevo a Leuven, Belgio, a pochi km da Bruxelles, trascorrevo ora e ore nel beghinaggio locale, una vera e propria cittadella dentro la città, a chiacchierare passeggiando con la mia amica/sorella Francesca, immaginando come doveva essere per quelle donne guardare a sé stesse e al mondo da quello spazio sicuro e differente, tenendo presente che questi esperimenti saranno nel tempo sempre più osteggiati dalla Chiesa cattolica. Ma il viaggio di Cossutta prosegue: c’è la Margaret Cavendish de Il mondo sfavillante, un’utopia separata del 1668 in cui un gruppo di donne si autogoverna condividendo forme di conoscenza precipuamente femminili in un convento al riparo dalla violenza fisica e simbolica degli uomini. C’è, poi, Mary Wollstoncraft, la teorica di cui in Italia meno noti sono i romanzi (per coprire questa lacuna consiglio anche la lettura del prezioso primo volume monografico di Carlotta: Cossutta, Avere potere su se stesse: politica e femminilità in Mary Wollstonecraft, ETS edizioni, Pisa 2020). Nella narrativa di Wollstonecraft s’impone lo spazio del cottage, in particolare in The Wrongs of Woman del 1798, dove due donne, una madre biologica, l’altra madre per elezione – e pagata dalla prima per il suo sostegno all’educazione della figlia, ora allevata con affetto da entrambe, in comune – convivono lontane dalla società al maschile dentro uno spazio di protezione che è il cottage di campagna come unità pressoché autosufficiente.

Le esperienze del passato collezionate e attraversate da Cossutta rilevano una questione: le temporalità profonde nella storia di spazi inadeguati al ben vivere, e in particolare a quello delle donne, e con loro delle soggettività più sfruttate e oppresse. In Domesticità si tiene traccia di esperimenti e fabulazioni per ripensare queste dimensioni e così il presente può intrecciarsi a queste sperimentazioni, inspessendole dal qui e ora.

Nella città di Napoli, nel gennaio 2020, un gruppo separato transfemminista occupa una casa che diventerà uno spazio di vita, discussione politica e sperimentazione: la Vampa. Il loro comunicato parla di uno spazio libero dalla violenza fisica, simbolica e politica, uno spazio che sia in grado di accogliere tante: «avevamo bisogno di uno spazio, abbiamo provato con una poltrona ma non ci entravano tutte le amiche […] Non ci basta un divano, neanche un lettino, nemmeno una stanzetta. Alcuni ci pensavano rinchiuse in uno sgabuzzino o a friggere in cucina, ma noi strabordiamo e ci prendiamo tutto!». E, ricordandoci quanto ancora serve prendersi e fare spazi in cui prefigurare mondi, relazioni e modi di abitare, vivere, altrimenti: «ci volevate angeli del focolare – conclude il comunicato post-occupazione – noi siamo la vampata che dirompe dalle mura domestiche. Siamo un lapillo che appiccia altre dieci, cento, mille occupazioni femministe».

Ma per cambiare l’universale dell’abitare vigente è necessario ascoltare bisogni, corpi e desideri non-universali, sempre situati: per esempio, nel 2013 apriva a Montereuil, vicino a Parigi, La Maison de Babayagas, una casa dedicata all’ospitalità delle donne anziane, autogestita dalle abitanti, le babayagas traducibile con l’italiano vecchie streghe (Sibilio, 2023). La Maison de Babayagas consente di pagare una quota mensile molto bassa, con l’obiettivo di rispondere efficacemente alla disparità economica prodotta dall’operatore-genere per cui le donne anziane tendono ad avere meno disponibilità economica degli uomini coetanei. Nella casa delle Babayagas le abitanti garantiscono un certo quantitativo di ore settimanali dedicate ad attività comunitarie e al dibattito femminista di cui questo progetto di cura e di vita tra donne si nutre, nutrendolo a sua volta. Un affondo ulteriore: le richieste di fondi pubblici per l’apertura della Maison vennero eluse a lungo, finché un’ondata di caldo estivo finì per uccidere in Francia un numero molto significativo di persone anziane, accendendo i riflettori sulle possibili soluzioni per individuare spazi sicuri. La disponibilità di uno spazio ombreggiato e fresco in estate, ben riscaldato in inverno, sempre in prossimità a qualcuna cui rivolgersi in caso di malessere ma anche per condividere passioni, tempo e uno spazio che si può chiamare casa sono questioni relative alla porosità tra corpi, menti e ambienti che la Howland di Topolobampo teneva già presente nel XIX secolo redigendo la Carta costituzionale della comunità, insistendo sulla necessità di prestare attenzione all’interconnessione tra umani, tra essi e il loro ambiente, in vista di un’esistenza armonica.

Di Carolina Latorre Canet

Commoning e autogoverno

Leggendo Carlotta penso anche all’esperienza di Lucha y Siesta, una casa romana che accoglie donne in percorsi di fuoriuscita dalla violenza, ma senza ridursi a un servizio top-down, aprendo piuttosto spazi di commoning in cui dar corpo a discussioni politiche e progetti che fanno contare i desideri oltre ai bisogni urgenti e contingenti. Una casa in cui la tutela e la cura delle vulnerabilità si accompagna alla bellezza e all’arricchimento, senza dimenticare neppure la dimensione della rivendicazione e della necessità-passione a contribuire a costruire i prodromi di società altrimenti che non ci abusino più. Penso anche a Calafou, una comunità autonoma, ma non chiusa, mista, non lontana da Barcellona e situata negli immensi spazi industriali di una fabbrica dismessa. Con l’obiettivo di un’autosufficienza che fa rima con autodeterminazione, a Calafou si praticano alternative produttive, tecnologiche e abitative, si usa una moneta locale e sperimentano tecnologie nuove, libere, il più lievi possibile per ambiente ed ecosistemi ma anche per i corpimente sempre più pericolosamente esposti all’influenza dei dispositivi tech del capitale e dell’informatica del dominio. Da femminista desidero, qui, riportare il fatto che proprio a Calafou ha trovato per un periodo la sua casa un laboratorio hack-ginecologico gynePunk, un’esperienza volta a condividere saperi diagnostici e di cura sui propri corpi sessualizzati, facendolo in uno spazio sicuro e autorganizzato, dando risposte a molti disturbi ginecologici e della sfera sessuale comuni, facendo della propria comunità e dello spazio dell’abitare un sito di cura e crescita autodeterminata in tutti i sensi (klau kinki, 2014). 

Leggere Cossutta nel 2024 ci consente di riannodare molti fili, di imparare e disimparare da un passato da cui ci guardiamo immerse nell’oggi pieno di guai, desideri e bisogni a cui trovare una casa per rifare la società e rifare noi stess*.

Per riprendere quella Lonzi che, in Armande sono io!, guardava con interesse all’imposizione della donna nella casa per scongiurare l’impoverimento degli spazi dell’abitare, provando, però, a superare la stessa Lonzi con affondi ancora più critici: perché a imporsi nello spazio ancora imprevisto di sempre nuove case siano le soggettività marginali tutte, che vogliono luoghi sicuri, piacevoli e belli per sé, per l* altr*, e per riscrivere geografie che sconfinano oltre le mura che ci proteggono e proteggeranno, per rifare il mondo, a partire da un qualche parte che in questo caso è proprio la casa. Per avere meno paura delle città brand dagli affitti esorbitanti, per immaginare un mutualismo de facto, per avere altre alternative al vivere sol*, con mamma&papà, con coinquilin* di necessità; oppure ancora, una coppietta per appartamento, ottima soluzione per alcun*, ma non per tutt*, e dunque molti litigi e sempre meno passione, ma è la soluzione più conveniente materialmente parlando… Per non essere privat* della bellezza multiforme che possiamo desiderare e delle mille e una possibilità che vogliamo!

Bibliografia

Cossutta, Carlotta, Avere potere su se stesse: politica e femminilità in Mary Wollstonecraft, ETS edizioni, Pisa 2020

—. Domesticità. Lo spazio politico della casa nelle pensatrici statunitensi del XIX secolo, ETS, Pisa, 2023.

Gainsforth, Sarah, Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale, DeriveApprodi, Roma 2020. 

—.  Abitare stanca. La casa: un racconto politico, effequ, Firenze 2022.

Giardini, Federica e Simone, Anna, La riproduzione come paradigma. Elementi per un’economia politica femminista, DinamoPress, 2015, https://www.dinamopress.it/news/la-riproduzione-come-paradigma-elementi-per-una-economia-politica-femminista/.

Graziano, Valeria, “Rivoluzioni domestiche contro domesticazioni tecnologiche”, in Federica Giardini, Sara Pierallini, Federica Tomasello (cur.), La natura dell’economia. Femminismo, economia politica, ecologia, DeriveApprodi, Roma 2020.

Hill Collins, Patricia, Black Feminist Thought. Knowledge, Consciousness, and the Politics of Empowerment, Routledge, New York e Londra,2000.

Hochshild, Arlie Russell, The Managed Hearth. The Commercialization of Human Feelings, University of California Press, Bekeley, Los Angeles e Londra 1983

klau kinki, “GYNEpunk: LABginecologici autonomi”, in TUTTA SALUTE! Resistenze (trans)femministe e queer, «DWF», 103-104, 2014.

Lonzi, Carla e Rivolta Femminile, Manifesto di Rivolta Femminile [1970], et al. Edizioni, Milano 2010,

Lonzi, Carla, Armande sono io!, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1992.

Lorey, Isabelle, State of Insecurity. Governement of the Precarious, Verso Futures, Londra 2015.

Non Una di Meno (NUDM), Abbiamo un piano: Piano contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere, https://nonunadimeno.files.wordpress.com/2017/11/abbiamo_un_piano.pdf, 2017.

Sibilio, Vera, La maison des Babayagas. Femminismo e cura radicale nella terza età, disponibile sul blog della casa editrice napoletana TAMU, https://tamuedizioni.com/tpost/j8lpg9i581-la-maison-des-babayagas, 2023.

Foto di copertina: Carolina Latorre Canet su Wikimedia Commons

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