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OPINIONI

Devastare e punire. Da Dresda a Gaza

Dresda e Gaza sono due esempi di punizione collettiva “utile” non tanto militarmente quanto per “dare una lezione” a chi non si disallinea con il male “assoluto” e impiegare produttivamente le munizioni fabbricate

Da sei mesi siamo inseguiti dalle immagini di Gaza e ora Rafah, da foto e video di un esercito che colpisce ogni giorno dall’alto una popolazione e dal basso devasta un territorio dove sono concentrate milioni di persone senza alcuna libertà di movimento, che mangiano male o muoiono di fame, che non si possono curare, oltre a essere controllate da decenni da forze giudiziarie e militari ostili. Guerra aerea e distruzione capillare per fare fuori i responsabili politici e militari del 7 ottobre. Da sei mesi siamo sommersi da queste immagini. Nel dibattito infimo di questi tempi ci si accusa a vicenda di nazismo, si paventa da una parte l’atomica, dall’altra il genocidio. Da sei mesi la nostra opinione pubblica usa la Seconda guerra mondiale come la chiave di lettura totale per capire quanto accade oggi, ottant’anni dopo.

Ma se vogliamo usare quella guerra, conviene usarla tutta. Allora parliamo di Dresda 1945 – il più catastrofico dei bombardamenti alleati su una città tedesca. Più di 25mila morti, decine di migliaia di feriti e mutilati, e ancora più sfollati e profughi, e ancora più gente a morire di fame per mesi, di una città che era considerata come Firenze da noi. Se vogliamo capire Gaza oggi forse dobbiamo tornare a riflettere su Dresda.

La zona comune

Agli Oscar più recenti hanno vinto Oppenheimer di Nolan e Zona d’interesse di Glazer. Il primo racconta personaggi e discorsi che hanno reso possibile sul piano scientifico e politico la fabbricazione e l’uso dell’ordigno atomico che ha annientato Hiroshima e Nagasaki nell’agosto 1945, portando alla capitolazione giapponese. Oppenheimer si chiede – per l’ennesima volta – come si convive col fantasma della distruzione assoluta attraverso la Bomba. Zona d’interesse racconta la vita quotidiana di Rudolf Höss e famiglia, mentre questi era il comandante dei tre campi di Auschwitz. Racconta insomma come si fa a rimuovere uno sterminio che ci accade davanti. Spiega – per l’ennesima volta – come si fa a non vedere. Entrambi i film fanno un uso spregiudicato – soprattutto Zona d’interesse – del suono, per dire il sottrarsi dell’immagine, le cecità volontarie, l’assentarsi obbligato della coscienza vigile.

Una delle formule che più si sentono ripetere – da subito – sulla Seconda guerra mondiale è “se si fosse visto, se si fosse saputo…”. I due film la evitano. Entrambi hanno come presupposto la consapevolezza della distruzione totale. La domanda inquietante è se si dia un orizzonte comune in cui, per paradossale e urticante che sia, i due casi stanno, anche solo per un momento, insieme. L’unico piano comune non sta nel rapporto mezzi-fini della produzione (di un’arma definitiva, di un progetto genocida), ma in quello analitico della distruzione che segue. Della soluzione finale, per dirla in modo più disturbante. I due film spalancano l’abisso politico insito nella domanda su come si risolve davvero e per sempre una questione (le “medicine forti” di Machiavelli). E si fermano a spiegare come si chiudono gli occhi rispetto all’inumano che si produce con la soluzione. Questo, se c’è, è l’orizzonte comune ai due film – un tema di specie umana, benché i protagonisti delle due storie siano nemici, radicalmente nemici.

Ma c’è un altro aspetto: entrambi i film raccontano azioni segrete ma onnipotenti. Che fabbrichi la bomba o che agevoli lo sterminio, chi lo perpetra sa di essere “irresistibile”. In entrambi i casi l’operazione di riduzione a nulla non ha una controparte che possa reagire. La differenza enorme è che una è violenza razzista che non ha scopo militare – è un genocidio –, l’altra invece ha l’obiettivo bellico di abbreviare la guerra (oltre a quello geopolitico di mostrare ad altre potenze chi è che arriva per prima all’atomica). Auschwitz è stato derubricato come inutile male assoluto. Hiroshima come terribile male utile.

Ma cosa accade quando il male non è eccezionale, bensì è un’azione di guerra estesa, “a tappeto”, come tante altre – non è segreta, anzi la vedono tutti? È solo eccessiva, incredibilmente fuori scala, e distrugge tanto da annullare insieme alle vite ogni criterio per stabilire se ha uno scopo, un qualche senso, per quanto tragico?

Spostiamo l’asse del ricordo altrove. Andiamo, sempre nella Seconda guerra mondiale, a Dresda.

Punire utilmente

Dresda è un altro tipo di violenza totale che fu perpetrata nella seconda guerra mondiale, un’altra violenza sciolta da fini, da obiettivi, di cui stupisce la rimozione o la memoria frammentaria. Al contrario delle altre due ha avuto poche narrazioni, anche se ha vissuto una serie atroce di ripetizioni ed era già in sé una ripetizione. Dresda fu un’ennesima risposta a Coventry 1940 o Stalingrado 1942 (altra “coventrizzazione” di una città fatta dai nazisti) – e venne dopo i bombardamenti a tappeto di Amburgo, Monaco, Colonia, naturalmente Berlino.

Tra il 13 e il 15 febbraio 1945 Dresda fu rasa al suolo. A quell’altezza temporale c’era già stata la Conferenza di Yalta. Auschwitz era già stata liberata. Ma per 36 ore su Dresda cadono bombe, anche al fosforo, poi brucia tutto per giorni, capolavori artistici inclusi. Resta un nulla totale. Il “New York Times” usò i termini “atomized”, “pulverized”.

Dresda fu un bombardamento tra i tanti degli ultimi mesi di guerra. Ma fu anche la decisione di cancellare completamente (con armi “convenzionali”) ogni presenza umana animale e vegetale di una grande città, perché “serva da lezione”. Devastare una città perché loro “si arrendano”. Perché “imparino”. Fu solo questo? Un atto, magari sbagliato nella misura, di una guerra sacrosanta contro i nazisti? O è qualcosa di completamente diverso che nella confusione storica, nell’accelerazione politica non abbiamo mai tematizzato a fondo?

In Mattatoio n. 5 Kurt Vonnegut l’ha spiegata, Dresda, scrivendo la storia di quei giorni con lo sguardo del vincitore che passa la vita successiva a esclamare “così va la vita” e va nello spazio per sentirsi dire che anche lì «abbiamo guerre terribili, le più terribili che abbiate mai visto. Non possiamo farci niente, perciò ci limitiamo a non guardarle».

A fine Novecento, nella Storia naturale della distruzione, W.G. Sebald ha raccontato quest’affezione che abbiamo per l’annientamento. E l’ha messa su un piano che volutamente si ignora, anche se pure Vonnegut non parla d’altro, pure se dalla parte di chi il massacro lo compie: la patologia psichica. «Il rogo che portò a morte nel giro di poche ore un’intera città con tutti i suoi edifici e i suoi alberi, con i suoi abitanti, gli animali domestici, le attrezzature e gli impianti di ogni genere, dovette necessariamente condurre a un sovraccarico e a una paralisi della capacità razionale ed emotiva in quanti riuscirono a salvarsi».

La guerra è guerra, a mali estremi, estremi rimedi – ripetono. Eppure sempre Sebald fa notare che dietro l’enorme quantità di bombe sganciate sulle città aperte c’era e c’è un fattore economico. Si fanno cadere bombe semplicemente perché si sono prodotte: «abbandonare lì, inutilizzati, […] i materiali ormai prodotti, ovvero gli aerei con il loro carico prezioso, era un’idea cui si ribellava il sano istinto economico». Produrre mezzi militari, come fa l’Italia oggi, vuol dire doverli consumare.

A Dresda come a Gaza oggi si è avuta l’eliminazione di ogni traccia civile – distrutte case scuole negozi università monumenti, ospedali, e uccise decine di migliaia di persone, decine di migliaia di bambini. Con Dresda abbiamo vinto la guerra – ma l’avremmo vinta lo stesso. Eppure delenda Dresda. Perché fu pianificata Dresda? Perché era una punizione collettiva che arrivava dall’alto e non discriminava: includeva chiunque tra i punibili.

Non siamo al riparo dal mito della punizione. Da ottant’anni non festeggiamo Dresda, ma la reputiamo utile, in silenzio, per aver contribuito al grande obiettivo. Reputiamo utile, in silenzio, annichilire un’intera popolazione civile per tenere fede all’obiettivo dichiarato di stanarne la classe politica che la domina col terrore. E di punirla perché non si disallinea apertamente dal male sciolto da ogni umanità che magari ha pure votato chissà in quali forme – Hitler ieri Hamas oggi. Punirla assolutamente perché impari chissà cosa. Lasciando a terra decine di migliaia di cadaveri, e la fame e la follia di chi resta.

Sedicenti laiche e anti-ideologiche, le democrazie occidentali che anche da Dresda sono nate sono conniventi con la distruzione come fine, complici con l’idea della punizione totale di chiunque conviva col nemico. Intanto approfittano dell’enorme occasione economica di due guerre contemporanee per autorizzare una ritorsione infinita fatta di eccidi e carestie. Mentre le loro opinioni pubbliche insistono sull’enormità del 7 ottobre per non vedere i sei mesi successivi e i decenni precedenti, le loro finanze risanano i conti, accumulano utili. Producono guerra a venire.

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