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David Bowie: che genere di alieno?

Un alieno sbarcato da Marte sul pianeta terra con una chitarra rock dentro al ventre. L’eroe, l’idolo di tutti i freak ribelli. Un viaggio sotto il cielo illuminato dalla luna, la sua vita: arte.

Il suo viaggio vero e proprio inizia con Space Oddity del 1969: mentre l’uomo va sulla luna, l’alieno sbarca sul pianeta terra direttamente da Marte. Forse perché, come canta Elton John, “Marte non è il posto adatto in cui crescere i tuoi figli” (Rocket Man). Ziggy inizia ad ambientarsi pian piano nel pianeta ostile terrestre, il capitalismo ha comprato il mondo già da molto tempo e continua a mietere vittime, chissà forse solo con un ego enorme ed una chitarra si può tentare di sopravvivere nella palude. Ma Ziggy, il primo alter ego di B., non è un solitario e la sua forza musicale viene fuori dalla contaminazione artistica e umana. Marc Bolan, leader dei T-Rex morto a 30 anni nel 1977 e fondatore del glam-rock, sembra “quasi” rivolgersi all’amico Bowie che porterà alla ribalta quel genere oltre gli anni ’70: “Are you my main man”?

La forza scenica di Ziggy Stardust è dirompente, unica, qualcosa di mai visto nel panorama musicale. Forse si può affermare che Bowie sia riuscito nell’impresa di decostruire il genere dell’artista e la sua mascolinità, come Marcel Duchamp fece nell’arte fotografica e nel ready-made nella prima metà del ‘900. Il gesto di travestirsi da donna ha prodotto un decentramento del genere dell’artista, segnando un passaggio chiave nella storia della musica rock mainstream. Chiaramente non ci riferiamo al semplice travestitismo scenico caratteristico della performance musicale ma alla costruzione quasi di un alter ego e di un’icona transgender. In fondo siamo tutti interconnessi quotidianamente con la macchina transgender per eccellenza, produttrice di lavoro, arte e tempo, ovvero il computer.

Le identità di genere sono qualcosa di artificiale, un costrutto storico, culturale, religioso. Ebbene, come l’alter ego Rrose Sélavy di Duchamp, Bowie tenta di riconciliare gli opposti (femminile e maschile) attraverso la figura dell’androgino.

“Imitando il genere, il drag rivela implicitamente la struttura imitativa del genere stesso nonché la sua contingenza” (Judith Butler).

Come sottolinea Kaja Silverman, fino al XIX secolo gli abiti esprimevano soprattutto le differenze di classe, mentre con l’affermarsi della borghesia diventano il segno più visibile della differenza sessuale. In seguito l’instabilità della moda femminile gioca un ruolo di primo piano nelle manipolazioni identitarie. L’abito può giocare un ruolo capace di destabilizzare la nozione di una mascolinità coerente e unitaria.

Bowie, come già Duchamp, rinuncia ad un’identità artistica associata alla maestria (il genio maschile) e alla virilità, propri dell’immaginario rock classico, utilizzando la performatività per far perdere le sue tracce, in un processo di distruzione e di ricostruzione e non per fissare la sua identità univoca. L’identità come processo dunque.

“La mia natura sessuale è irrilevante. Sono un attore, recito una parte, frammenti di me stesso”.

Come suggerisce il bel libro di G. Zapperi, “L’artista è una donna”, Duchamp aveva aperto la possibilità di pensare l’artista come una figura fondamentalmente instabile dal punto di vista dell’identità di genere, cosa che avrebbe avuto delle conseguenze significative per ogni forma di arte della seconda metà del XX secolo.

Nel corso della sua carriera, Bowie ha spesso reinterpretato la propria opera per adattarla al presente: “…quando un artista ha completato la sua opera essa non gli appartiene più… guardo semplicemente ciò che ne fa la gente”.

Bowie, il Duca Bianco, il “Dandy (Diva)”, stilisticamente anche un’estensione novecentesca del dandy-flâneur descritto da Baudelaire. L’artista camaleontico per eccellenza, non solo esteticamente, continua a sorprenderci sempre tra gli anni ‘70 e gli ’80 (quelli del successo di massa). Una volta con un rif di chitarra ipnotico che risuona come un diapason nello spazio, in uno degli assoli più incredibili della storia della musica (Moonage daydream), una volta con una disamina della storia americana recente attraverso “the picture window” a ritmo di sax (Young Americans)…

Un artista “completo”, degno di nota anche il rapporto proficuo con il cinema, in veste di attore, dall’alieno del film di Roeg The Man Who Fell to Earth, al vampiro di The Hunger, al cult movie Absolute Beginners, insieme a vari cameo da Lynch a Zoolander, oppure a film basati in parte sulla sua vita, come Velvet Goldmine di Todd Haynes. Importante anche la sua collaborazione musicale nel panorama cinematografico per molti film. Ad esempio Cat People (Putting Out Fire) scritta per il film omonimo del 1982 e ripresa da Tarantino nella scena topica del film Inglourious Bastard, qualifica la mediocre pellicola, remake di un classico film del 1942 di Tourneur. Bowie sembra essere più ispirato da quest’ultima opera tutta giocata sulla capacità trasfigurativa e ambigua dell’immagine in cui, attraverso il medium cinematografico si afferma il potere della suggestione e la priorità dell’immaginazione.

L’alieno osserva l’umanità stretto nel costume di paillettes con uno sguardo attento. “You can be mean”(Heroes), possiamo non essere sempre in gara l’uno contro l’altro nel girone dei meritevoli, in fondo siamo semplicemente umani, che a volte diventano re e regine per un giorno solo se amano.

“Silhouettes and shadows watch the revolution” (Scary Monsters), ma possiamo anche scomodare Emma Goldman nell’interpretare il messaggio di B., “If I can’t dance it’s not my revolution”… sessuale, culturale etc… In parte l’uomo delle stelle giunto da una galassia lontana, sembra averci suggerito questo, dunque… Let’s dance! Continuiamo a ballare nel pianeta terra, freaks di ogni specie viventi nel tempo e nello spazio.