MONDO

Case e comunità demolite nei territori palestinesi

L’amministrazione civile israeliana, con l’intervento dell’esercito e l’approvazione del governo, può espropriare terre palestinesi o demolire qualsiasi casa palestinese ignorando e violando la legge internazionale e le convenzioni sui diritti umani.

Dall’inizio dell’occupazione, il governo israeliano ha messo in atto una serie di differenti metodi per limitare l’accesso alle terre e altre risorse nei territori occupati, a scapito della popolazione palestinese. La frammentazione dei territori palestinesi è una pietra miliare nel perenne conflitto israelo-palestinese. Durante il processo di pace varato a Oslo nel 1995, la Cisgiordania è stata divisa in tre aree, sotto differenti giurisdizioni: A, B e C. Oggi l’autorità palestinese controlla le aree A e B (dove Israele mantiene il controllo della sicurezza attraverso i pattugliamenti), mentre l’area C è sotto il totale controllo di Israele.

Nel 1945, durante il mandato britannico, è stato istituito il Regolamento 119, ancora incorporato nell’attuale legislazione israeliana. Suddetto regolamento tratta la pratica di demolizione e sigillatura delle case palestinesi in Israele e nei territori occupati. Attualmente, per poter costruire a Gerusalemme Est e nell’area C, i palestinesi devono chiedere un’autorizzazione alle autorità israeliane. La maggior parte degli ordini di demolizione sono rilasciati a cause della mancanza di suddetta autorizzazione, facendo di queste abitazioni, strutture “illegali”. Nell’ambito della suddivisione politica del territorio, i palestinesi possono costruire appena nel 13% dell’area di Gerusalemme Est e nell’1% dell’area C (guarda qui). Le politiche di pianificazione israeliane a Gerusalemme Est sono utilizzate per prevenire lo sviluppo delle aree palestinesi, limitare le aree designate per le loro costruzioni e affermare il controllo israeliano sulla città, mantenendo la logica di “equilibrio demografico”.

Demolizioni case palestinesi

A Gerusalemme Est, considerata Territorio Occupato da una parte della comunità internazionale, vivono circa 370.000 Palestinesi (il 39% dell’intera popolazione). In questa zona, Israele sta agendo in modo da espandere la popolazione ebraica e ridurre quella palestinese. Dal 1967, Israele ha demolito 3.200 case palestinesi. La Corte permette la distruzione delle case di quelli che reputa terroristi – cioè le persone che il popolo palestinese ritiene “martiri” – come dimostrazione di punizione collettiva: una procedura amministrativa portata avanti senza seguire il principio di base di un processo equo. “Non si metteranno a morte i padri per i figli, né si metteranno a morte i figli per i padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato” (Deuteronomio 24:16). “Mi hanno chiamato dalla compagnia assicurativa dicendomi che avevano bisogno di vedermi.” A parlare è la moglie del martire Ibrahim Akkary.

In quello stesso momento, lo scorso dicembre, più di 1.000 soldati sono entrati a Mokhayam Shofat per demolire la sua casa. Scelgono di arrivare durante le ore lavorative, in modo da evitare la presenza di uomini nella cittadina. “Non riesco a capire cosa sia successo – continua – Quando sono tornata casa era tutto distrutto. Eravamo scioccati quando abbiamo realizzato che la nostra casa era esplosa”.

Subito dopo l’esplosione per mano dei soldati, il vicinato ha deciso ti raccogliere soldi per supportare la famiglia di Akkary e permetterle di affittare una casa. Nel frattempo la comunità si è impegnata nella ricostruzione della loro abitazione. Il figlio del martire aggiunge: “Sono triste. Ma quando ho visto che le persone del vicinato ci sostenevano, non mi sono sentito più solo. Adesso loro sono la mia famiglia”.

Report di Elia, Association for Youth

Uno degli strumenti più rilevanti usati per limitare lo sviluppo delle comunità palestinesi a Gerusalemme Est è la designazione degli spazi aperti come “aree verdi” o come Parchi Nazionali, come è successo per il Canada Park, costruito sul villaggio Imwas, facente parte di un sistema di pianificazione in cui la costruzione è illegale.

Secondo la legge di pianificazione e costruzione israeliana del 1965, sono necessari numerosi documenti e obblighi procedurali al fine di ricevere un permesso di costruzione. In questo modo, la costruzione legale di nuovi edifici di proprietà dei palestinesi è limitata al minimo, e per questo motivo molte strutture sono costruite senza un permesso valido (secondo la OCHA, almeno il 33% della abitazioni palestinesi situate a Gerusalemme Est è costruita senza il permesso israeliano, e 93.100 residenti sono a rischio di dislocamento).

“Questa terra è la mia terra. Perché hanno distrutto la mia casa? Avevo già una casa, ma la mia famiglia stava aumentando, I miei figli sono scresciuti e si sono sposati, per questo avevamo bisogno di un’altra casa. Se non posso costruire sulla mia terra, dove lo posso fare? Il governo israeliano vuole che affitti una casa ma è troppo caro per me, ho la mia terra, perché dovrei affittare un appartamento?”.

“L’autorità palestinese – continua – non viene mai in nostro aiuto perché siamo cittadini ordinari, non abbiamo favoritismi. Per questo non cerco il loro supporto, sono una semplice madre. I fondi internazionali indirizzati ai palestinesi, in realtà vanno nelle tasche dei ministri”.

Report di Elia, Association for Youth.

Espulsione delle comunità

Negli anni ’70 l’esercito israeliano ha creato la Zona di Tiro 918, creando così aree riservate come zone militari. In questo modo può espropriare qualsiasi terreno in Cisgiordania per “scopo militare immediato”, incoraggiando la colonizzazione israeliana. Quasi tutta l’intera Cisgiordania è stata dichiarata da Israele “terreno agricolo e Gerusalemme Est è stata designata come “area verde aperta”, negando la possibilità di costruire legalmente senza l’autorizzazione richiesta. È ancora peggio quello che succede alle comunità che rischiano l’espulsione dai luoghi in cui l’amministrazione civile israeliana non permette la costruzione di nessuna struttura permanente. Recentemente, nella comunità di al-Mkassar al nord della Jordan Valley, i bulldozer israeliani hanno demolito 4 tende che ospitavano due famiglie, un totale di 19 persone, comprendenti 12 minori. Queste famiglie avevano già assistito alla distruzione delle loro case appena sette mesi prima.

Queste demolizioni producono un significativo deterioramento delle loro condizioni di vita. Le famiglie e le comunità devono affrontare un incremento esponenziale della povertà e dell’instabilità, vedendosi limitare l’accesso ai servizi di base, come l’educazione, la salute, l’acqua e i servizi sanitari.

All’inizio di Febbraio, l’esercito ha fatto irruzione nelle comunità palestinesi di Khirbet Jenbah e Khirbet al-Halawah, a sud di Hebron, parte della zona di tiro 198. A Khirbet Jenbah, l’esercito ha demolito 15 strutture che ospitavano 60 persone, inclusi 32 minori. A Khirbet al-Halawah ne hanno demolite 7,e altre 50 persone sono rimaste senza casa (more info).

Le autorità israeliane, soprattutto per quanto riguarda Gerusalemme, stanno adottando tali mezzi proprio per dare spazio agli insediamenti e forzare la popolazione palestinese a spostarsi verso i territori occupati. I palestinesi non si sentono protetti né dall’autorità palestinese né dalla comunità internazionale. Possono solo guardare l’esercito che rade al suolo le loro vite, senza nessun diritto o legittimità. Perché continuiamo a specializzarci in diritto internazionale se poi, proprio qui, non vediamo rispettarne i principi? Per cosa e per chi sta lavorando la comunità internazionale?

02.03.2016_ Gerusalemme