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MONDO

Autoritarismo neoliberale in Argentina, Milei approva la Ley Bases tra lacrimogeni e manganelli

Approvata al Senato in extremis la legge che svende imprese pubbliche e risorse naturali alle multinazionali, accentrando in senso autoritario il potere del presidente. Date le modifiche, necessarie per l’approvazione, tornerà al Congresso. Movimenti e sindacati in piazza, repressione durissima, centinaia di feriti e decine di arresti arbitrari

Il nuovo capitolo dell’offensiva ultra-neoliberista e autoritaria del governo Milei non si è fatto attendere: in appena sei mesi di governo, dopo le elezioni shock dello scorso novembre e l’investitura alla Casa Rosada dello scorso dicembre, Milei ha già collezionato due scioperi generali e centinaia di manifestazioni e proteste.

Il suo governo è responsabile di gravissime repressioni poliziesche ordinate dalla ministra dell’Interno, del partito di Macri, Patricia Bullrich (che ricorderemo per le responsabilità nel caso Santiago Maldonado durante il governo Macri). Il suo protocollo liberticida criminalizza la libertà di manifestare in un paese dove le mobilitazioni di piazza costituiscono un elemento decisivo dell’espressione e della negoziazione politica e sindacale, rendendo esplicito l’obiettivo già portato avanti da diverse dittature militari, il vero obiettivo della politica neoliberale, la miseria pianificata – per citare l’espressione di Rodolfo Walsh nella sua ultima lettera alla giunta militare prima di essere desaparecido.

Un attacco senza precedenti al diritto di manifestare, scioperare e protestare, un vero e proprio attacco alla democrazia, un tentativo autoritario di disciplinare, delegittimare, indebolire e colpire i movimenti sociali e le organizzazioni sindacali e politiche parte di quel processo che l’antropologa Rita Segato ha efficacemente definito “pedagogia della crudeltà”.

Un attacco contro quelle forme organizzate nella società argentina che lottano contro la diseguaglianza, la concentrazione della ricchezza e la devastazione sociale e ambientale. Proprio l’accumulazione economica nelle mani di pochi, la violenza contro i diritti del lavoro, le forme di solidarietà e cooperazione, l’impoverimento di massa sono parte di un processo che il governo di Milei vuole radicalizzare – ricordiamo, il punto di partenza è stato l’indebitamento con il FMI durante il governo Macri, nel 2018, con Caputo ministro dell’economia – allora come adesso. In mezzo, un governo peronista che si è dimostrato incapace di intervenire in maniera efficace proprio sulle questioni per le quali era stato votato, che ha lasciato l’Argentina in una situazione talmente difficile che un voto di protesta e di rifiuto della classe politica ha finito per portare al governo l’estremismo neoliberista autoritario.

Nella sperimentazione di quello che Andrea Fagioli ha definito «autoritarismo neoliberale» – ricordiamo che la genealogia del neoliberismo richiama immediatamente le dittature militari nel Cono Sur come inizio a livello globale – «il  presente dimostra ancora una volta – qualora ce ne fosse stato bisogno – che le classi “dominanti dipendenti”, per conto delle quali sta governando Milei, accettano il gioco democratico solo quando non hanno scelta, solo quando le relazioni di forza sono loro sfavorevoli e non hanno alternative». Con la vittoria elettorale e l’appoggio del Macrismo, Milei e Villaruel – vicepresidenta, espressione del “partito militare”, avvocata che difende i generali genocidi della dittatura militare – perseguono l’obiettivo di svendere il paese – il pubblico e le risorse naturali, così come i diritti e le garanzie conquistate in decenni di lotte – alle multinazionali e al potere economico concentrato. Come sostiene Diego Sztulwark, intervistato da Miguel Mellino, «l’obiettivo di Milei è disattivare tutte quelle regolazioni e forme istituzionali che le classi dominanti hanno storicamente prodotto come compromesso con i corpi, ovvero la burocrazia politica, la democrazia procedurale, la dimensione deliberativa, quello che resta del tessuto o della mentalità industriale come modalità di gestione o mediazione.»

La cosiddetta Ley Bases è una legge strategica del progetto libertario neoliberale, perché sistematizza i tagli e la privatizzazione del settore pubblico – nonostante abbiano ritirato alcune imprese strategiche dal piano di privatizzazione, per ottenere i voti necessari al Senato, non è cambiata l’impostazione generale della legge.

Inoltre, definisce lo smantellamento del sistema delle pensioni, colpendo soprattutto le donne e i settori popolari, – per quanto nell’ultima versione approvata sono state negoziate delle modifiche in tal senso – e istituisce il Regime speciale per grandi investimenti e sfruttamento delle risorse naturali. Una legge che inoltre prevede un accentramento dei poteri in senso autoritario, con facoltà straordinarie per il presidente, in modo da permettere a Milei di governare per decreto, perseguire l’obiettivo di tagliare all’estremo la spesa pubblica, smantellare i servizi pubblici, svendere e privatizzare beni e imprese statali, sulla base delle ricette economiche basate su un estrattivismo sfrenato a favore del capitale concentrato delle multinazionali e degli investitori stranieri, che godranno di ampie agevolazioni fiscali. Proprio in questi giorni, Milei ha incontrato la presidente del Fondo Monetario Internazionale per negoziare nuovi prestiti in cambio della riforma del lavoro, di quella fiscale e del RIGI (regime speciale per lo sfruttamento delle risorse naturali).

La votazione della Ley Bases arriva al Senato il 14 giugno dopo l’approvazione del Congresso, dopo una lunga serie di modifiche e negoziazioni, rimodulazioni e promesse – con denunce di voti comprati, posti ai consolati in cambio di voto favorevole, e altri scambi di favori denunciati dalle opposizioni – necessarie per ottenere i voti sufficienti alla sua approvazione (il voto era in pareggio tra favorevoli e contrari ed è stata la vicepresidente della Nazione a far pendere la bilancia dal lato del governo). Ancora una volta era stata convocata una ampia mobilitazione di piazza, tale da rendere impossibile l’attuazione del protocollo della ministra Bullrich, come già avvenuto a dicembre con la Ley Omnibus, ma anche con gli scioperi generali di gennaio e maggio, con lo sciopero femminista dell’8 Marzo e con la giornata per i diritti umani del 24 marzo, con la manifestazione in difesa dell’università pubblica e il 3 giugno di Ni Una Menos.

In un clima di autoritarismo e di uno smisurato aumento di povertà, inflazione e svalutazione, con tagli alla spesa pubblica e politiche antipopolari continuativamente portate avanti grazie all’alleanza de facto di Milei con Macri, la repressione in piazza si scatena dopo poche ore.

Intanto, in Senato la legge generale viene approvata solamente grazie al voto-spareggio della vicepresidente Villaruel (oltre al Macrismo e all’Unione Civica Radicale, anche tre senatori peronisti delle province che con un voltafaccia garantiscono quorum e approvazione a Milei). È la prima legge approvata dal governo, che non ha la maggioranza parlamentare e che ha governato solo con decreti straordinari del presidente: bisognerà poi approvarla con le modifiche al Congresso e portare all’approvazione le leggi particolari e specifiche che compongono questa legge quadro.

Intanto, in piazza, centinaia di migliaia di persone si oppongono al governo: contro i manifestanti pacifici si scatenano le forze di polizia schierate davanti al Senato, colpiti duramente anche diversi senatori e deputati dell’opposizione (aggrediti dalla polizia con spray urticante in faccia mentre si trovavano tra i cordoni di polizia e i manifestanti), migliaia di persone vengono attaccate da poliziotti che sparano lacrimogeni, gas urticanti e proiettili di gomma dalle moto contro chiunque incontrino per le strade. Dopo ore di repressione, si contano oltre 200 feriti e 33 arresti arbitrari di persone. Tradotti in carcere, sono stati tutti accusati di reati gravissimi senza alcuna prova sulla base della volontà di criminalizzazione della protesta e del dissenso portata avanti dall’estrema destra al governo. Dopo una ampia mobilitazione ne sono stati rilasciati 17 la sera del venerdì, anche se il pm ha fatto appello contro la scarcerazione, mentre gli altri e le altre sedici detenute sono ancora in stato di arresto in attesa del processo con accuse di sedizione, turbamento dell’ordine pubblico, attentato all’ordine costituzionale e diversi altri reati totalmente fuori contesto e fuori luogo, secondo quanto denunciato nelle conferenze stampa delle organizzazioni per i diritti umani. Tra le persone arrestate una famiglia di venditori di empanadas dell’economia popolare, un musicista, una persona senza casa, una docente di storia, tre studenti dell’Università di San Martin – l’Università ha preso parola pubblica, con il rettore che ha chiesto la loro immediata liberazione – tutti arrestati nell’ambito di una caccia all’uomo distante dalle aree dove a causa dell’avanzata e delle provocazioni della polizia erano avvenute cariche, spari con proiettili di gomma e scontri.

Il salto di qualità è avvenuto con il comunicato della presidenza argentina che definisce terroristi i manifestanti di sindacati e movimenti sociali, studenteschi, femministe e delle economie popolari, pensionati e pensionate in piazza contro le misure ultra-neoliberiste del governo, accusandoli di un “tentativo di golpe”.

Suona assurdo, e gravissimo, che questo governo, negazionista dei crimini della dittatura, accusi di golpe una protesta legittima e pacifica: è così che il governo di Milei impone le proprie politiche in un contesto globale di avanzata di un regime di guerra e dell’estrema destra reazionaria e neoliberista. Quanto potrà andare avanti il governo su questa strada? Pagherà qualche costo politico per questa violenza? Quali saranno i punti-limite che la società argentina, i movimenti e le organizzazioni popolari riusciranno a porre a fronte dell’avanzata neoliberista e reazionaria? Saranno mesi decisivi, a partire dal prossimo voto della Ley Bases che torna al Congresso, per un paese che sta già sopportando costi enormi e drammatici, inflazione e impoverimento che si avviluppano in una spirale senza fine, ma dove però ancora una volta le resistenze sociali si confrontano con la capacità di provare a mettere limiti all’avanzata neoliberista.

Immagine di copertina di Juan Valeiro per lavaca