ROMA

#1 Fuori Mercato: Casale Falchetti

Seconda puntata della rubrica Fuori Mercato. Alla scoperta dell’ex Casale Falchetti: uno spazio reso vivo e restituito al territorio quasi 20 anni fa.

#0 Fuori Mercato. Che Roma sarebbe senza l’autogestione?

Il casale, un tempo proprietà della famiglia Falchetti, sorge nel nucleo urbano più vecchio di Centocelle, su un isolotto lambito dallo scorrere incessante di viale della Primavera, a due passi dalla via Casilina, e da quello più tranquillo di una strada affluente. Fu costruito intorno alla metà del secolo XIX con una parte ad uso abitativo e una ad uso agricolo, con annessa vaccheria. Un’altra sezione venne edificata successivamente, tra il 1920 e il 1930.

Le radici di questa storia affondano nella fine degli anni ’70, quando il Comune decide di allargare il letto al traffico diretto verso la Casilina e ordina la requisizione dell’immobile. In cambio, paga quasi 250 milioni di lire. Ma la presenza di un vincolo regionale di salvaguardia sui casali dell’agro romano impedisce l’abbattimento del casale e la realizzazione dell’attuale viale della Primavera subisce in quel tratto una deviazione e un restringimento. Il signor Falchetti, però, ottiene la custodia del bene e continua a vivere all’interno del casale per quasi 20 anni. Soldi e custodia rimangono al privato, ma nemmeno la proprietà pubblica è tanto al sicuro: alla morte del custode legale, la famiglia prova a far valere i suoi diritti proprietari.

Siamo nel 1999 e una rete di associazioni del territorio decide di rompere gli indugi e assicurare che l’edificio sia restituito agli abitanti di Centocelle: si decide di occupare. Gli attivisti si mettono subito a lavoro e rendono agibile buona parte della struttura, che versava in pessime condizioni ed era pericolante. L’occupazione vera e propria dura alcuni anni. Dopo una fase di transizione, nel 2008 l’associazione “Laboratorio sociale autogestito 100celle” diventa assegnataria dello spazio, grazie alla delibera 26. Questo strumento normativo – strappato e scritto dalle lotte dei centri sociali negli anni ’90 – riconosce l’uso degli spazi urbani a fini sociali e culturali e permette a tante realtà dell’autogestione romana di ottenere una sorta di regolarizzazione, con un affitto a canone sociale: il 20 per cento del prezzo di mercato.

Tra le mura di Casale Falchetti, si moltiplicano così tutta una serie di attività e servizi autogestiti, che arricchiscono il tessuto sociale e culturale del territorio, diventando un vero e proprio punto di riferimento per tantissimi abitanti. Oltre a spettacoli teatrali, proiezioni, dibattiti, passeggiate archeologiche, serate di milonga, nello spazio trovano casa una biosteria, una taverna, una ciclofficina, un gruppo di acquisto solidale, un mercato per i produttori locali, un orto comunitario. E poi tantissimi corsi di formazione – dalle lingue alla musica, dal ballo alla scrittura – che in un quartiere come Centocelle e in un periodo di forti tagli al sistema educativo rappresentano per tanti giovani e meno giovani una risorsa preziosa.

I corsi si pagano, dirà qualcuno sempre pronto a fare il volontario con il lavoro degli altri. La birra si paga, urlerà qualcun altro abituato ad accusare di speculazione non i palazzinari e i grandi evasori, ma chi con le birre finanzia progetti politici e sociali. Sì, i corsi (e le birre) si pagano, perché hanno dei costi e perché l’autosfruttamento non rientra tra gli obiettivi degli attivisti di questo spazio. I corsi (e le birre) si pagano poco, però, perché non hanno l’obiettivo di garantire a chi li organizza il massimo guadagno possibile, come nelle imprese e nelle società a scopo di lucro. Il loro scopo principale è offrire al territorio occasioni di formazione e di socialità. I prezzi popolari – prezzi “fuori mercato” – permettono a chiunque di frequentare Casale Falchetti e aiutano le persone impoverite dalla crisi a vivere meglio, a studiare e a divertirsi di più.

E infatti – raccontano con orgoglio Piero, Pina e Antonella – lo spazio è attraversato da tante generazioni diverse, che qui si incontrano, discutono e a volte litigano. Studenti delle scuole superiori e pensionati si trovano nella stessa sala a bere qualcosa o ad assistere a uno spettacolo. Persone con un solido retroterra politico si mischiano ad altre che cercano principalmente uno spazio di socialità.

Tutta questa umanità si è stretta intorno agli attivisti del laboratorio sociale, quando l’attacco del Comune di Roma si è materializzato attraverso una “letterina”. Il 21 dicembre 2015, infatti, anche nella cassetta delle lettere di Casale Falchetti è stato recapitato l’ultimatum del Comune. “Un vero e proprio ricatto”, dicono gli attivisti. Il “Dipartimento patrimonio sviluppo e valorizzazione” di Roma Capitale, su ordine del Commissario Tronca e del suo Dup, afferma che il casale verrà messo a bando e che l’associazione che ne aveva ottenuto l’assegnazione potrà parteciparvi solo ad alcune condizioni: 1) custodire il bene e proteggerlo da possibili occupazioni; 2) garantirne (a proprie spese) la manutenzione; 3) pagare fino alla data di pubblicazione del bando l’affitto a prezzo di mercato. Affitto a prezzo di mercato che nella lettera viene ricalcolato anche in maniera retroattiva, per i sei mesi precedenti. Poco importa che in quel periodo lo stesso Comune ha continuato a spedire i bollettini per l’affitto a canone sociale, che gli attivisti hanno regolarmente saldato. Ovviamente, anche il saldo di questo “debito”, che in pochi mesi ha raggiunto improvvisamente e senza preavviso quasi 20.000 euro, è un pre-requisito per partecipare alla gara per l’assegnazione.

Quando il bando uscirà e come sarà scritto, resta a discrezione dell’amministrazione comunale a venire o del commissario tuttofare. E non è un dettaglio. Perché se valorizzazione significa messa a valore di beni, spazi e vite umane nei meccanismi del mercato, difficilmente le associazioni e i collettivi che autogestiscono gli spazi sociali con obiettivi culturali e politici potranno concorrere con chi sul piatto poggerà ricchi conti in banca. Del resto, neutralità e oggettività sono sempre stati argomenti per nascondere le regole del più ricco e del più forte. E questo vale ancora di più per Roma Capitale, che con i sui “bandi pubblici” ha consegnato milioni di euro nelle mani dei protagonisti di Mafia Capitale.

Lasciando Casale Falchetti, passo da via Fonti Chiari e mi imbatto in un grande edificio quasi nuovo, ma completamente vuoto. Si tratta di una struttura polifunzionale di circa 800 metri quadrati, pronta ad ospitare una palestra, una ludoteca, una sala teatrale e poi uffici, sportelli informativi e appartamenti. Questo spazio è stato realizzato dove prima esisteva un archivio del comune di Roma, nell’ambito di un “contratto di quartiere” che ha riguardato la ristrutturazione del blocco di case popolari comunali che lo circondano. Un tavolo di “progettazione partecipata” – condotto dagli stessi architetti e funzionari del comune, con la partecipazione di diverse realtà locali, compreso il Casale – lo ha immaginato come una risorsa per quella parte storica del quartiere, Centocelle vecchia, sempre carente di spazi e servizi. Completata nel 2011, è stata ristrutturata con i soldi pubblici, con tanti soldi pubblici. Oggi, è in via di disfacimento, consumata nell’abbandono in cui versa per l’inerzia del Dipartimento al patrimonio, ma anche dell’istituzione municipale.

La struttura polifunzionale di via Fonti Chiari non rientra tra gli spazi messi a bando pubblico dal Dup del Commissario Tronca. Casale Falchetti sì.

Per maggiori informazioni, visita il sito del laboratorio sociale e la pagina facebook 100celle.

L’ex Casale Falchetti si trova in viale della Primavera 319/b.