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Da casa nasce casa

Dal Manzanarre al Tevere: invendute e non abitate. Un’inchiesta sul campo tra Roma e Madrid.

[Nella mappa in copertina, la localizzazione del patrimonio residenziale invenduto nel territorio della città di Roma a ridosso del GRA]

Case da pazzi: Madrid e Roma

Madrid e Roma. Le modalità di osservazione sono le stesse. Diversi i risultati. A Madrid prendi la metropolitana (direzione nord) e vedi – dopo molto, il tragitto è lungo – i vagoni svuotarsi completamente.

Scendi dove il treno finisce e, da una deserta stazione, arrivi in una selva di centri commerciali dove, con tutta evidenza, si va esclusivamente in automobile. Una sorta di mura che ti lasci alle spalle per spingere lo sguardo al contrario, verso il luogo di partenza al centro della città.

Ti accorgi della marea di case. La qualità tipologica è buona e ti stupisci, anche, della loro varietà, del mix tra tipi edilizi. T’incammini convinto di rifare a piedi il percorso che, poco prima, avevi fatto in sotterranea e, solo allora, ti accorgi che le case sono vuote.

Gli ingressi sbarrati, lo zoccolo dei negozi murato. Case e strade fantasma dove, ogni tanto, come patetiche fessure di piccoli occhi, niente di più di qualche foro all’interno delle porzioni murate, è segnalata la presenza di un ufficio immobiliare con incollate sulle vetrine offerte, riproduzioni di interni, piante. Nessuno dentro, neppure un impiegato.

Edifici disabitati nella zona nord di Madrid:

A Roma, accade di notare più o meno lo stesso fenomeno. Solo che prendere la metropolitana non basta. Arrivi, mettiamo a sud, partendo dalla stazione Termini, ma i vagoni non mollano neppure un passeggero. Emergi dal buco dell’Anagnina e qui le case ci sono , c’è il traffico e una folla costante diretta oltre il raccordo anulare.

Volendo seguirla per un po’ la consistenza tipologica non cambia. Analoga in qualsiasi direzione: la ressa dei centri commerciali e case e ancora case. Anche se il tuo occhio non è pronto a cogliere le differenze, ti accorgi presto che molte di queste costruzioni sono tra loro uguali.

Stesso disegno, stessi materiali, strade larghe e ancora: qualche capannone che contende a qualche rudere edilizio l’occupazione di lotti miracolosamente residui.

È dal progressivo stato di abbandono, da strade solo accennate, da malinconici vialetti sterrati che conducono verso il nulla, da cancelli e passi carrabili assediati da piccole dighe di terra e arbusti che li rendono così inespugnabili, da avanzi di cantiere, da buche e da mucchi di terra (tanti mucchi), da enormi cartelloni di Ufficio vendita, che t’accorgi che sei all’interno del regno dell’invenduto.

Pochi i segni vita, pressoché inesistente il numero delle finestre aperte, quello delle caldaie in funzione, qualche rarissima parabola. Anche qui, come a Madrid, le case sono tante , le case anche qui sono vuote e, ancora anche qui, le molte gru – ormai parte integrante del paesaggio circostante – segnalano che si continua a costruire.

Roma e dintorni

Per restare, per il momento, a Roma, partiamo dal paesaggio di riferimento. Per capire dove sono localizzate queste case, facciamo un piccolo passo indietro andando a vedere la consistenza del costruito e il numero degli abitanti prendendo in esame gli ultimi dieci anni.

Dal 2003 al 2007 (anno in cui si registra la prima contrazione del fenomeno costruttivo) sono stati costruiti 10 mila alloggi privati all’anno per un totale di 52 mila unità. Dal 2003 al 2010, tuttavia, 163 mila persone hanno lasciato Roma per trasferirsi in provincia, alla ricerca di case dai prezzi più bassi.

Questo ha determinato una sorta di mutazione territoriale/geografica. Abitiamo un territorio urbanizzato a bassa densità che, espandendosi da Roma verso tutta la provincia, si rappresenta attraverso frammenti di città, aree isolate, isole più o meno grandi.

Luoghi dove non ci sono servizi. Senza infrastrutture e urbanizzazioni non comunicano tra loro, né sono connessi con nulla.

Il nuovo paesaggio romano fatto di frammenti di città e aree isolate, Roma 2012:

È all’interno di questo paesaggio, che senza alcun elemento di identità si autodefinisce per parto genesi dalle stesse case, che vengono costruite ed è localizzata la maggior parte del patrimonio abitativo interrotto e inaccessibile. È la nuova nebulosa geografica.

Quale corona, irta dalle spine dello sprawl (diffusione edilizia), cinge lo spazio urbano da cui ha espulso (continua ad espellere) chi non può più sfruttare fino in fondo al’interno di quella parte del territorio che vuole tutto produttivo. Questo ha prodotto, e continua a produrre, un doppio fenomeno: il perdurare di un patrimonio edilizio bloccato, rappresentato da “case vuote” e da “case invendute”.

Case vuote, case invendute

Le prime, secondo stime pressoché unanimi, sono, su un totale di un milione e 700 mila appartamenti censiti, di poco al disotto delle 250 mila unità. Un numero che le porta a poter essere considerate superiori per numero di abitanti possibili da insediare (500 mila dato che 2,3 è la media che viene considerata come numero degli occupanti possibili per casa) a quello di città come Firenze o Bologna.

Le case invendute sono intorno ai 51 mila alloggi. Di questi il 60% è esistente solo “su carta” trattandosi di interventi che hanno ottenuto tutte le concessioni per dare inizio ai lavori, ma si aspettano gli acquirenti prima di aprire i cantieri. Ma anche se non realizzati, in forza dell’acquisizione del permesso a costruire, producono reddito avendo rappresentato, almeno fino a qualche tempo fa, un valore negoziabile per l’acquisizione di mutui spendibili sul mercato finanziario.

Oggi per la crisi economica le banche non erogano più mutui alle imprese né ai possibili acquirenti, ma sono state proprio le banche a determinare questo stato di fatto.

L’anteprima spagnola

Per andare a vedere cosa è successo, torniamo, ora per qualche riflessione, a Madrid e alle sue case prive di abitanti. Il fenomeno che oggi vediamo intorno a noi è avvenuto, nella capitale madrilena in anteprima e con qualche anticipo, lungo la nuova direttrice urbana che prolunga nel territorio la “gran via” cittadina.

La Spagna nel corso degli anni ’80 si è caratterizzata per il varo e la sperimentazione di politiche di riforma urbana, caratterizzate sia da una preponderante presenza dell’operatore pubblico che dalla centralità della governance pubblica. Una doppia condizione che attribuiva al programma espansivo delle città un grande valore sociale.

A partire dalla fine degli anni ‘90 si assiste ad un progressivo passaggio all’operatore privato, che immette massicci investimenti nelle grandi infrastrutture e nel real estate (investimento immobiliare). Dalla città “sociale” si passa alla città “offerta” sui mercati internazionali.

L’esempio di Barcellona, con la costruzione del Forum 2004 lungo la spiaggia, è indicativo della trasformazione della politica urbana. Si sono costruite attrezzature ricreative, porti turistici, centri commerciali per turismo internazionale, senza alcun legame con il tessuto urbano.

Si parlava di miracolo spagnolo quando, nel 1998, Aznar innescava il boom dell’edilizia con la “legge del suolo” e con forti incentivi per l’acquisto della casa. Ma era già dal 1985 che lo sviluppo edilizio e la lievitazione dei prezzi avevano gonfiato il mercato. Le banche erogavano mutui su mutui a bassi tassi d’interesse con estrema facilità e il settore immobiliare era motore del boom economico del paese, artefice di una crescita scomposta e drogata. Nel 2005 e nel 2006 si era arrivati alla cifra record di 900 mila compravendite immobiliari all’anno.

La fase del mercato che vedeva i prezzi aumentare vertiginosamente in un breve arco di tempo a causa di una forte domanda (tra il 1996 e il 2006 il valore degli immobili si era rivalutato del 160 per cento) è finita nel 2008, quando si è determinato un calo del valore degli immobili pari al 34 per cento.

Oggi in Spagna ci sono 1 milione di case invendute. Le banche spagnole hanno nei loro portafogli circa 150 mila case che non riescono a vendere.

Ne sono tornate in possesso perché molte famiglie non sono più state in grado di pagare i mutui che avevano contratto e molte imprese di costruzione sono fallite. L’aumento della disoccupazione dal 2008 a oggi e la trasformazione della maggior parte dei contratti da tempo indeterminato a tempo determinato ha costretto molte famiglie a rinunciare all’acquisto della casa e a non poter più pagare gli affitti e i mutui contratti, così che oggi in Spagna gli sfratti sono divenuti una piaga sociale.

A novembre dell’anno passato una donna di 53 anni ha visto dalla finestra arrivare i poliziotti insieme all’ufficiale giudiziario. Sapeva che erano lì per lei e si è gettata di sotto. Non poteva più pagare il mutuo residuo di 214 mila euro per la sua casa di due stanze, bagno e cucina.

Ogni giorno nel 2012 l’ufficiale giudiziario si è presentato con la notifica di sfratto da 317 cittadini. Dall’inizio della crisi sono 350 mila le persone buttate in mezzo alla strada. E tante sono le case tornate sul mercato.

Così il mattone si è trasformato da motore di un’economia drogata, a responsabile di una crisi che non vede via d’uscita. Da un eccesso di domanda nel comprare case si è passati ad un eccesso di vendite, dettato da una offerta smisurata e conseguente ribasso del loro valore.

A Madrid ci sono, come detto, interi palazzi nuovi con appartamenti vuoti, senza compratori, presenze inquietanti e testimonianza di quella ricchezza immobiliare produttrice dell’attuale miseria urbana, del saccheggio delle città operato a colpi di valorizzazioni immobiliari da parcheggiare e far viaggiare nel circuito della finanza mondiale, del fenomeno mondiale delle “case di carta”.

Edifici disabitati nella zona nord, Madrid 2010:

Il bambino (cfr le foto) che fa scorrere il suo triciclo in una strada deserta lo fa su una lunga striscia di un largo marciapiede disegnato al di là della strada. Pur nell’assenza di persone, si nota una certa, seppur non soddisfacente, opera di manutenzione; una sorta di cura, un tentativo impossibile per fare di quelle case un pezzo di città.

Impossibile perché quelle finestre sbarrate, quei portoni inaccessibili dimostrano che quella ricchezza immobiliare era stata pensata per produrre e continuare a produrre plusvalore attraverso uno schema uguale in tutto il mondo: vendere sui mercati finanziari tutti i tipi di crediti (i mutui richiesti da chi costruisce e quelli di chi acquista), accrescere il numero e il valore delle transazioni, rendere liquidi i beni immobili.

Un processo totalmente indifferente alla localizzazione, pensato per fare profitto rivendendo pacchetti finanziari da alimentare attraverso l’imposizione di un sempre maggior numero di mutui alle famiglie.

Le case stanno lì, appoggiate le une alle altre, ma è come se fossero state fate sparire dalla città essendo destinate a non essere abitate.

In Italia si replica

Lo stesso che è avvenuto a qualche anno di distanza in Italia.

In Italia fra il 1997 e il 2007 sono stati realizzati 1,1 miliardi di metri cubi di nuova edilizia residenziale. La crisi finanziaria globale, bloccando il flusso del credito, ha trasformato il rallentamento iniziato nel 2006 dell’attività edilizia, dovuto a sovra-produzione, nel crollo a picco che si riscontra oggi. Gli ultimi cinque anni hanno visto aumentare lo stock di invenduto, senza che i prezzi delle abitazioni subissero un calo evidente, restando fra i più alti d’Europa.

Oggi, secondo i dati Nomisma, in Italia esistono 694 mila alloggi invenduti, a fronte di una domanda di edilizia sociale pari a 583 mila alloggi (dati Federcasa). Uno studio del Politecnico di Milano afferma che tra il 2002 e il 2008 il 75% delle costruzioni ha riguardato l’edilizia libera, mentre la domanda di edilizia sociale si attesta sul 42,5%.

Nel 2011 in Italia sono stati ordinati 63 mila sfratti di cui ben 56 mila per morosità, di questi 28 mila sono stati eseguiti dalle forze dell’ordine. In testa Milano con il 30% del totale.

Nei prossimi tre anni sono previsti in Italia altri 220 mila sfratti (dati Ministero dell’Interno). Spesso si stratta di sfratti per “morosità incolpevole”, cioè non si paga l’affitto perché non si è materialmente nelle condizioni di farlo.

Con la legge di stabilità si è decisa solo una proroga di sei mesi degli sfratti per finita locazione in scadenza al 31 dicembre 2012, per le sole fasce deboli.

Che succede a Roma?

A Roma ogni anno 2.500 famiglie perdono la casa, 10 famiglie al giorno, che cercano rifugio da amici e parenti o finiscono per strada od occupano un alloggio dei tanti vuoti che ci sono. Sono circa 10 mila quelli che vivono nelle occupazioni. Una città fatta di case su case, vuote.

Dove sono le 51 mila unità che abbiamo visto all’inizio rappresentare lo stock dell’invenduto romano da sommare alle 250 mila unità di quelle tenute vuote disseminate nel corpo dell’intera città?

Andiamo a vedere.

Dove si trovano le case invendute?

Non tutte queste case sono state realizzate, lo saranno quando ci sarà l’acquirente. Anche a Roma si registra il crollo del rilascio dei permessi di costruire, che nei grandi comuni, rispetto solo quattro anni fa, è pari all’85%, essendo passato dai 1821 rilasciati nel 2008 ai 263 nel 2011!

A Roma, secondo dati dell’assessorato alle politiche urbanistiche, oltre 400 permessi di costruzione non sono stati ritirati mettendo in crisi, a Roma come altrove dove si registra analoga tendenza, la strategia di molte amministrazioni, che hanno ceduto suolo su suolo alla ricerca dei contributi finanziari relativi alle urbanizzazioni primarie, secondarie e al costo della monetizzazione degli standard.

Oggi la geografia cittadina di cantieri finiti e da aprire vede le zone nord (Talenti, Cassia, Salaria) nelle prime posizioni. A nord est nel quartiere di Bufalotta si stima che il 60% di quanto realizzato sia invenduto.

Edifici invenduti alla Bufalotta, Roma 2012:

Una grande parte di patrimonio d’invenduto è presente nella zona est (Tiburtina, Ponte di Nona, Tor Sapienza, Collatina, Lunghezza). Si stima che questa “fetta” di case sia pari alle 20 mila unità.

Quantità più contenute si trovano ad ovest (Casetta Mattei, Boccea, Aurelia); mentre numeri consistenti si ritrovano nella zona sud (Laurentina, Torrino, Grotta Perfetta,Ostiense fino a Parco Leonardo).

Acilia, Laurentina, Ostia, Romanina, Massimina sono le località che aspettano di vendere prima di partire con la colata di cemento.

Quante e come sono?

Stime prudenti valutano che il tasso di “assorbimento” (alloggi acquisiti rispetto quanti costruiti) oggi non superi il 30%. Nel 2007 questa percentuale era pari all’80%. La tipologia richiesta è cambiata a Roma come nel resto del paese L’appartamento per la famiglia si disintegra, sezionandosi per alloggi destinati a fasce deboli: studenti, immigrati, anziani. La risposta è del tutto insoddisfacente sia per tipologia degli alloggi ritagliati all’interno di modelli esistenti né pensati come tipologia specialistica e sia perché localizzati nelle periferie urbane prive di servizi.

Cosa trovano intorno a loro?

Paradossalmente le zone dove si registra la maggiore consistenza di invenduto sono le medesime su cui si abbatterà il diluvio cementizio contenuto in molte delle 64 delibere relativa alla manovra urbanistica (Dinamopress ne parla nell’inchiesta Che tempo che fa e dettagliatamente sulla pagina home grazie anche alle corrispondenze di comitati cittadini che si oppongono a tanto disastro).

Nello stesso luogo, contendendosi palmo a palmo metri di terreno uno dopo l’altro, case che ci sono e resteranno vuote e case che si vogliono realizzare, consumeranno ulteriore suolo invece di pensare a recuperare il tanto spreco edilizio.

Questo a fronte delle stime dell’Agenzia del Territorio che, analizzando i dati dell’ultimo trimestre disponibili del 2012, stima il decremento delle transazioni immobiliari precipitare dal -17,8% del primo trimestre all’attuale -25,8%.

Nel periodo compreso tra gli anni 1966 e il 2006 le compravendite di case erano raddoppiate arrivando alla cifra monstre di 900 mila del 20026 con un incremento per quel che riguarda gli scambi pari al 3,1. Lo scorso anno con l’1,8% dello stock scambiato si è ritornati ai valori di 26 anni fa.

Saranno mai abitate?

A lungo si è parlato dell’Italia come di un paese di “proprietari di casa”. È ancora così?

In effetti dagli anni ’50, quando era proprietario della casa in cui abitava il 40% degli italiani, si è passati a circa l’80% attuale, mentre la media europea è intorno al 64%.

In realtà sono stati soprattutto i figli della classe media impiegatizia ad accendere mutui per comprare la casa, mentre la maggior parte dei figli della borghesia ne è entrata in possesso per via ereditaria.

La contrazione del credito da parte degli istituti finanziari e la maggiore disoccupazione e precarietà del lavoro hanno di fatto impedito la possibilità dell’acquisto, o il pagamento di mutui già contratti.

Ed è così che si rivolgono al mercato dell’affitto giovani italiani e immigrati, mercato che non è stato mai incentivato e che non è in grado di rispondere alla attuale domanda in ascesa.

Gli enti previdenziali hanno svolto un ruolo importante nel mercato dell’affitto, ma la dismissione del loro ingente patrimonio, tutt’ora in atto, ha trasformato una parte degli inquilini in proprietari e ha messo sulla strada gli altri.

Dal 2001 al 2012 a Roma sono state vendute agli inquilini 90 mila case a prezzi molto bassi. Poi la vendita degli alloggi è stata delegata a Fondi Immobiliari che, protagonisti dei processi di cartolarizzazione, hanno preteso, per rientrare dei mutui acquisiti per permettere i sopradescritti processi finanziari, sia per l’acquisto che per l’affitto i prezzi di mercato, troppo alti per poter essere sopportati da famiglie colpite dalla crisi.

Un fenomeno che sembrava finito, quello della coabitazione di più nuclei familiari, conosce invece una ripresa e un forte incremento.

Sono sempre di più le persone che condividono un appartamento per dividere le spese di affitto, il cui costo negli ultimi dieci anni ha visto un aumento di circa il 150% e rimane la voce che incide in maniera sostanziale nelle spese delle famiglie.

E sono, come detto, quasi 10 mila le persone che vivono in case occupate (lasciate vuote o invendute). Tante quanti sono gli abitanti di San Lorenzo, fanno parte di un quartiere che non c’è in case che ci sono. Si è costruito tanto. Si è consumato tanto suolo. Si continuano a costruire case destinate a non essere abitate.

Così il 6 dicembre scorso un percorso nomade varcando molte soglie di queste case ha detto che quelle case debbono essere abitate perché ogni casa lasciata vuota, non abitata, cancella insieme alle tracce di tutte queste esistenze anche l’abitare di tutti noi.

Case occupate a Roma nel dicembre del 2012:

Sovrapponendo la localizzazione dell’invenduto con quella relativa alla manovra “urbanistica” di Alemanno si nota come, paradossalmente, case destinate a restare vuote si sommano nei medesimi luoghi a quelle che già sono tali:

Roma, 15-01-2013